È recente la polemica sul Manifesto di Ventotene, redatto da Altiero Spinelli, Eugenio Colorni ed Ernesto Rossi, tra il 1941 e il 1942, e che è alla base dell’idea di un’Europa federale. Confinati in quanto antifascisti, i tre hanno matrici ideologiche diverse: Spinelli comunista, ma espulso dal PCI nel 1937 per il suo antistalinismo, Rossi, socialista liberale a capo di Giustizia e Libertà, Colorni, socialista e filosofo di origini ebraiche. Eppure essi, nella solitudine della piccola isola, nella “tristezza della inerzia forzata” (Colorni), nel ripensamento di quanto stava succedendo, vanno oltre le appartenenze per prefigurare il progetto, ancora irrisolto, di una federazione che superi i nazionalismi, che a loro avviso erano alla base della prima e della seconda guerra mondiale e che potevano scatenarne di nuovi. Era un progetto che guardava ad un futuro possibile.
Ma non è in questo articolo che si vuole discutere su Ventotene e il suo utopico progetto, pittosto riflettere sul senso del Manifesto, o meglio sul senso e valore dei Manifesti che nel corso dei secoli e soprattutto dalla Rivoluzione Francese ad oggi hanno mobilitato energie e lotte per un futuro migliore, catalizzando, in forma di linguaggio sintetico, parole d’ordine per orientare il proprio pensiero e la propria azione nei momenti di crisi.
Chi non ricorda l’incipit fulminante di Emmanuel Joseph Sieyès, nel suo “Che cos’è il Terzo Stato?” (gennaio 1789) si chiedeva “Che cos’è il Terzo Stato? Tutto. Che cosa è stato finora nell’ordinamento politico? Nulla. Che cosa chiede? Di diventare qualcosa”: era il Manifesto politico della borghesia rivoluzionaria francese”, alla vigilia della Bastiglia (14 luglio 1789), un richiamo alla mobilitazione contro l’assolutismo regio e contro i privilegi nobiliari.
Oppure, forse il più famoso per le implicanze storiche, “Il Manifesto del Partito Comunista” scritto Karl Marx e Friedrich Engels nel 1848. Quel manifesto cominciava con “Uno spettro s’aggira per l’Europa – lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa si sono alleate in una santa battuta di caccia contro questo spettro: papa e zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziotti tedeschi”… e si chiudeva con “Le classi dominanti tremino al pensiero d’una rivoluzione comunista. I proletari non hanno da perdervi che le loro catene. Hanno un mondo da guadagnare. Proletari di tutti i paesi, unitevi!” Quello spettro si aggira ancora per il mondo, dal momento che, pur nelle mutate condizioni storiche, le ingiustizie sociali sono ancora tutte presenti.
Il Manifesto pacifista di Gandhi: “Nel mondo c’è abbastanza per soddisfare le necessità di tutti ma non l’ingordigia di qualcuno…Regola d’oro è rifiutare di avere ciò che milioni di persone non hanno…Se si rispettasse la regola della yajna (lavoro per il pane e in spirito di servizio), non ci sarebbero ricchi e poveri, superiori e inferiori, toccabili e intoccabili…”
Mandela, nella sua arringa in sua difesa pronunciava un discorso (20 aprile 1964) che tutti definiscono il Manifesto contro l’Apartheid in Sud Africa “Sono in possesso di una laurea e ho esercitato per vari anni, assieme a Oliver Tambo la professione di avvocato. Sono un prigioniero condannato a 5 anni di reclusione per essere uscito dal Paese senza un permesso e per avere incitato la gente a scioperare alla fine del maggio 1961. […] La mancanza di dignità umana sperimentata dagli africani è un risultato diretto della politica di supremazia dei bianchi. Essa implica l’inferiorità dei neri. La legislazione atta a mantenere la supremazia dei bianchi rafforza questa idea. I lavori umili in Sudafrica sono invariabilmente svolti da africani. Quando ha bisogno di trasportare o pulire qualcosa, l’uomo bianco si guarda intorno per cercare un africano che lo faccia per lui, indipendentemente dal fatto che l’africano sia o meno al suo servizio. Con questo atteggiamento, i bianchi tendono a considerare gli africani una specie animale diversa…”
I manifesti si nutrono di parole, e le parole pesano. Emilio Lussu, tra i fondatori di Giustizia e Libertà, nel testimoniarne le origini dice “ Per definire il movimento di Giustizia e Libertà credo che dobbiamo fare uno sforzo di memoria. Discutemmo quasi due mesi a contatto con tutti i gruppi d’Italia e, a Parigi, non avevamo che riunioni permanenti. Si deve dire “Giustizia e Libertà” o “Libertà e Giustizia?… A nessuno di chi si occupa di cose politiche sfugge la differenza. La corrente liberale democratica era per “Libertà e Giustizia”, la corrente socialisteggiante era per “Giustizia e Libertà”. (Da “Lezioni con testimonianze presentate da Franco Antonicelli, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1973, pp. 173-177).
Ci sono Manifesti che segnano una certa visione del mondo. Il Manifesto del Futurismo di Filippo Tommaso Marinetti recita “Art.1 Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità; Art. 2 Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia. Art. 3 La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno…” E ci sono Manifesti che qualificano per sempre un regime, come il famigerato “Manifesto della razza” del Fascismo emanato da Telesio Interlandi nell’agosto del 1938 sotto l’egida di un gruppo di scienziati fascisti. In esso si legge, tra l’altro (art.7) “È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l’opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l’indirizzo ariano-nordico”; (art.8) “È necessario fare una netta distinzione fra i Mediterranei d’Europa (Occidentali) da una parte gli Orientali e gli Africani dall’altra. Sono perciò da considerarsi pericolose le teorie che sostengono l’origine africana di alcuni popoli europei e comprendono in una comune razza mediterranea anche le popolazioni semitiche e camitiche stabilendo relazioni e simpatie ideologiche assolutamente inammissibili; (art.9) “Gli ebrei non appartengono alla razza italiana…”; Art.10 “I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli Italiani non devono essere alterati in nessun modo. L’unione è ammissibile solo nell’ambito delle razze europee, nel quale caso non si deve parlare di vero e proprio ibridismo, dato che queste razze appartengono ad un ceppo comune e differiscono solo per alcuni caratteri, mentre sono uguali per moltissimi altri. Il carattere puramente europeo degli Italiani viene alterato dall’incrocio con qualsiasi razza extra-europea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani”.
Ci sono anche scritti, tuttavia, che pur non avendone la brevità e la struttura tecnica, possono assurgere a Manifesti. Alla vigilia del 25 aprile, e al di là di ogni retorica, voglio ricordare “Bella Ciao” e le “Lettere dei Condannati a morte della Resistenza italiana” , testimonianza toccante di donne e uomini che pur diversi per fede politica o religiosa, per provenienza geografica o per estrazione sociale, hanno creduto in un Italia migliore dopo le macerie del fascismo.