Sebbene i filamenti metallici che pendevano tintinnanti all’entrata del bar fossero fragili e apparentemente inutili, essi costituivano una barriera tra il dentro e il fuori, e quando qualcuno mormorava aiò ca intraus si capiva che si entrava in un altro mondo…
Nella bolla d’aria umida e fumosa, con l’odore forte e acre dell’anice, del fil’e ferru, della birra e dei caffè, ci si spostava al richiamo dell’ita buffas? E il fuori non esisteva più. Nel frastuono generale pareva impossibile riconoscere quel richiamo, eppure ciascuno si avviava deciso verso i tavolini di appartenenza, come fanno gli uccelli che infallibilmente tornano al nido.
Ita buffas? ripetevano gli amici, senza troppo distrarsi dalla loro partita di scopone… e già che ci sei ita ndi nasa de su Cagliari? Arrazz’e partida…ricordaci le formazioni tui ca ndi scisi…
Era la settimana successiva a Cagliari Juventus del favoloso 15 marzo 1970 quando il Cagliari capolista giocò al comunale di Torino la partita decisiva per lo scudetto…
Mali pigàu cominciò – Albertosi, Martiradonna, Mancin, Cera, Niccolai, Nenè, Domenghini, Brugnera, Gori, Greatti, Riva…ricordava perfino che Poli era entrato nel secondo tempo…e che l’arbitro era nientemeno che Concetto Lo Bello…
-Arrazz’e musica – mormorò su dribbladori de sa bidda…
Fanatico del pallone e del Brasile, sosteneva pericolosamente che senza Nenè, cussu nieddu a camba longa, quello che sputava per tutto il campo come un lama, quello del lancio lungo e millimetrico, GiggiRRiva non avrebbe segnato tutti quei gol…
-Mali pigàu ti d’arregordas su nómini de Nenè?
– Èllus… Claudio Olinto de Carvalho, in su Santos era la riserva di Pelè, duncas ndi sciriat duas rigas…
– Tui ses s’enciclopedia de su palloni atru che figurinas de Panini
Il tizio in piedi, di solito taciturno e tranquillo, sbottò – Ascurta o dogana, la ke GiggiRRiva chi si ponit le partite le vince da solo…e con una gamba solo…ma poi riconosceva “certu…ci olit s’innescu po fai pigai fogu a RRiva…
Su professori commentò – Avete ragione entrambi, una squadra di calcio è come un’orchestra…c’è il direttore, ci sono i primi violini, i secondi, i violoncelli, gli oboi, i clarinetti…ma la musica è una sola…oppure, per capirci, si potrebbe usare la metafora di Menenio Agrippa…
– La che?- uno dei giocatori di scopone, mentre faceva l’occhiolino al suo compagno, si rivolse a su professori, – Oh su professori perché non parla come mangia? Ita est sa metafora? E chini arrabiu est cussu Aggrip..
– Menenio Agrippa era un politico romano che aveva convinto i plebei a smettere di scioperare perché la società è come un organismo in cui tutti gli organi contribuiscono al suo funzionamento…così se lo stomaco è pigro e non mangia…anche il cervello non funziona…per dimostrare che ci vuole la concordia tra ricchi e poveri…così come tutti gli organi sono utili e necessari al corpo umano…
– E aicci eus cumprendiu che l’operaio ha cominciato a prenderla nel culo da quando c’era Giulio Cesare…
– Molto prima – aggiunse su professori…Agrippa visse molto prima di Cesare… al tempo delle lotte tra patrizi e plebei…
– Bella sa metafora o su professori! Arrazz’e filosofia…
– Oh su professori – aggiunse un altro giocatore – mi parit ca cussa meta…foras non c’appiccigát nudda col pallone…in d’una squadra tutti collaborano per vincere…donniunu conta per quello che vale…ma nel lavoro come fa l’operaio a fare sa cuncordia cun su meri che lo vuole sfruttare?
O Mali pigàu ti ricordi chini est su meri de sa Juventus?
– Certu…è Gianni Agnelli…su meri de tottu sa Fiat e de sa Juventus
– Ma tu te lo immagini s’abogàu che ha gli stessi diritti e doveri dei suoi operai? Mi parit impossibili…
– Certo – aggiunse su professori – ora stiamo parlando di giustizia sociale e di utopia…io volevo solo fare un esempio…
– E torraus a chistionai in difficili…giustizia sociale du cumprendu, ne parliamo sempre in sezione…ma cussa u to pi a…?
– Sa pippia portaci il vocabolario…ca su professori si olit imbrolliai
– Ma no…sa pippia… portaci da bere, birra po tottus, poitta immoi si seus trobeddaus cun sa politica…e si toccat abarrai alluttus…
La ragazza spuntò da dietro il banco e portò le birre…era più bella del solito con una delicata minigonna che scopriva le gambe appena sopra le ginocchia…e così ci fu come un momento di sospensione del dibattito in corso…ma qualcuno, evidentemente già alticcio, azzardò atru che sa gamba de Nenè…prontamente redarguito da un non fezas su scimpru…e da uno scappellotto accompagnato da castia is cattas…
– Aiò buffaus ca su professori ci spiega cos’è s’uto…
– Utopia…utopia…c’è anche un’opera famosa del filosofo inglese Tommaso Moro che si intitola proprio “Utopia” e che venne scritta nel 1516.
– Est una dì cussu contu…
– Nell’isola di Utopia, che comprende cinquantaquattro città, Moro immagina che tutti vivano in armonia, non c’è la proprietà privata e tutti i beni prodotti vengono messi in comune…così che l’umanità, liberata dal bisogno e dalla fame, dalla bramosia di possesso e denaro, si può dedicare all’istruzione e alla cultura…
– Sa pipia porta ancora birra…che la cosa si sta facendo interessante…o sa pippia lo sai che in cussu logu de utopia c’era l’amore libero? Accosta che te lo spiego…
La ragazza portò altre birre ma non si lasciò sfuggire un secco seis tottus imbriagus…e seis babbus de famiglia…sbregungius…
– Assolutamente no – riprese su professori – i coniugi dovevano giurare reciproca fedeltà per sempre e dovevano arrivare illibati al matrimonio…
– Illi che?
– Vuol dire puri, vergini…perché la famiglia era considerata sacra e si voleva evitare qualsiasi rischio di corruzione morale…
– Insomma… – in cussa utopia ci fiat una specie de comunismu –
– Certo l’utopia è come un ideale, una speranza, un modello di società, come può essere la pace tra i popoli o la fratellanza o l’eguaglianza o la giustizia, cose che non si potranno mai raggiungere…
Nella discussione intervenne con una battuta anche un tipo che non faceva parte comunemente del gruppo, ma che aveva seguito il dibattito anche perchè i toni, ingigantiti dall’alcol, si erano fatti alti e accesi… aveva su lomingiu de s’impresarieddu…
– Tenit arrexoni su romanu…ci vuole la concordia tra noi…deu pongu su dinai e su muradori poni su traballu…
Dal gruppo dello scopone si levò una voce – ma su dinai de aundi ndi bessit? Ti ndi ses scaresciu che tuo padre hat fattu su dinai con sa martinica in sa guerra? I poveri al fronte e is imboscaus a fai su dinai…
– Ancora birra po tottus…po s’impresarieddu puru…mancai non si du meritada…sa pippia te lo dico in italiano come su professori…vuoi venire con me nell’isola de utopia? Ci sei?
Ses tui ca non ci ses prus…talmenti ses ciuccu…preparadì ca mulleri tua candu torras a domu ti sciacquat sa facci…
Tra i fumi dell’alcol, in quel piccolo bar di paese ci si sentiva come dentro un’astronave, i pensieri e gli uomini fluttuavano senza peso, e per qualche ora il peso della vita pareva alleggerirsi. L’alcol, come le carte, sembrava l’antidoto a tutte le disgrazie che ognuno si portava dentro…
Nel gruppo dei giocatori di scopone si faceva fatica a riprendere il filo del discorso iniziale…
– Una cosa appu cumprendiu de tottu custi arrexonai…ca cussa utopia est impossibili…berus su professori?…quelle cose non si potranno mai raggiungere…
– O mali pigàu arregordasì sa formazioni de sa Juventus…
– Sa birra m’hat cunfundiu su xrobeddu…mi nd’arregordu sceti de su sardu Cuccureddu, de su tedescu Haller, de cussu spagnolu…Del Sol… e de su portieri poitta su nomini assimbillat a s’angioni in sardu… Anzolin…
– Ancora una birra per tutti, così ci rinfreschiamo le idee – uno dei presenti più beveva e più parlava in italiano…signorina belle gambe ci porti la birra…
– Una cosa s’ollu nai –riprese mali pigau – non sciu chi appu cumprendiu de cussu fueddu chi nd’hat bogau su professori ma mi seu arregordau ita naranta in sa radiu a s’iniziu de su campionau…”è un’utopia pensare che il Cagliari, una povera squadra del sud, possa vincere il campionato…” dopu custa partida mi parit ca s’utopia si podit fai…ita ndi narais?
Quel punto di vista aveva rimesso tutto in gioco…le menti ottenebrate dall’alcol, le parole incerte e le voci impastate sembravano dar ragione all’amico mali pigàu…
– Si podit fai, si podit fai, e du creu ca si podit fai…
Nota: Esercizio n° 11 “In gran parte della narrativa carveriana il bere non è tanto un modo di passare il tempo in compagnia, quanto un modo di vivere. Scrivere un racconto in cui l’alcol influenza il comportamento, il modo di parlare o lo stato d’animo di un personaggio”
In “Il mestiere di scrivere” (Einaudi Tascabili Stile Libero, 1997) di Raymond Carver, a cura di William L. Stull e Riccardo Duranti.