Una decina di anni fa, in occasione di una conferenza sulle launeddas, ho avuto modo sentire parlare, per la prima volta in maniera approfondita, dell’etnomusicologo danese Andreas Fridolin Weis Bentzon e delle ricerche che svolse in Sardegna durante gli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso. A illustrarne il lavoro e a tracciarne il profilo era stato invitato Dante Olianas dell’Associazione Iskandula. Olianas sottolineò in particolare il fondamentale ruolo che Bentzon ebbe nel documentare e salvare dall’estinzione la tradizione musicale delle launeddas. In quegli anni si contavano in Sardegna solo pochi suonatori di launeddas, per lo più dediti all’attività musicale in misura residuale rispetto alla prevalente attività lavorativa svolta nei campi o nelle botteghe artigiane. Bentzon, ascoltando e studiando l’alto livello di elaborazione della musica delle launeddas, dedusse che non doveva essere stato sempre così. Doveva essere esistita, in passato, una società capace di garantire l’esistenza di musicisti professionisti, dediti esclusivamente all’esercizio e allo studio della tecnica dello strumento. A proposito di ciò ricordo che, in quella stessa conferenza, Carlo Pillai disse che l’intuizione di Bentzon era stata confermata da recenti ricerche d’archivio da lui stesso condotte. Numerosi contratti notarili dimostrano infatti l’esistenza, in passato, di una specifica committenza capace di garantire ai launeddisti continuità di lavoro e reddito sufficiente a vivere di musica.
Il giovane etnomusicologo percorse, in quegli anni, la Sardegna in lungo e in largo e, vincendo la diffidenza iniziale dei launeddisti, riusci a registrare con il suo magnetofono molte ore di musica. Nel 1981 Dante Olianas, dietro suggerimento della scrittrice sarda residente in Danimarca Maria Giacobbe, e grazie a una borsa di studio ottenuta dal Ministero degli Affari Esteri, ha recuperate le registrazioni dagli archivi danesi. Rientrato in Sardegna le ha restaurate, digitalizzate e ne ha quindi curato una pubblicazione¹. Dall’ampio materiale raccolto sul campo da Bentzon, nel 1998 è scaturito anche un’altro interessante lavoro. “Durante l’ascolto di una di queste registrazioni – raccontò Dante Olianas – mi accorsi di uno strano rumore presente nella stanza in cui era stata fatta la registrazione”. Era il ronzio di una cinepresa. Ricerche più approfondite, suggerite da quel rumore di sottofondo, portarono al rinvenimento di 20 rulli di pellicola non catalogati contenenti filmati realizzati in Sardegna nell’estate del 1962. Il regista sardo Fiorenzo Serra ne ha tratto un documentario di grande potenza espressiva e narrativa, frutto di una sapiente operazione di montaggio e sincronizzazione di musica e immagini². Nel film, interpretando quella che molti indizi lasciano credere fosse l’intenzione di Bentzon, Fiorenzo Serra allarga lo sguardo dallo strumento musicale al contesto della cultura materiale di riferimento.
Il materiale raccolto da Bentzon si compone oltreché di registrazioni di musiche e canti, di appunti e note sugli strumenti, sulle persone e le circostanze dell’esecuzione, e di una gran quantità di immagini. Buona parte di questo materiale è stato acquisito dall’Associazione Iscandula che ha ottenuto anche il diritto di copyright sull’intero il materiale prodotto da Bentzon, riguardante la Sardegna, compreso quello non ancora rinvenuto. La principale finalità di Iscandula è quella di promuovere e supportare approfondimenti e studi sempre più specifici e analitici su questo prezioso materiale. Nel filone di pubblicazioni edite da Iscandula si inserisce una recente monografia che – come scrive il suo curatore Marcello Furio Pili nella quarta di copertina – “contiene le tracce del passaggio di A. F. Weis Bentzon a Ottana”. Nel 1958, incuriosito da alcune maschere appese su una parete in casa di un amico, che gli ricordavano quelle provenienti dall’Africa occidentale o dal Congo, Bentzon decide di allontanarsi per un po’ dall’oggetto principale della sua ricerca, le launeddas, e di poggiare la sua lente di ingrandimento sul contesto culturale e sociale da cui quelle maschere provenivano.
Il Carnevale di Ottana, che Bentzon osserva con sguardo spiccatamente antropologico, è anche il punto di contatto tra l’etnomusicologo danese e il regista sardo Fiorenzo Serra. Negli stessi anni in cui Bentzon si interessava al Carnevale del villaggio barbaricino, Serra realizzava il documentario “Maschere di Paese” (1957) incentrato sull’esibizione dei Boes e Merdules, le maschere tradizionali del Carnevale di Ottana. Il libro curato da Marcello Furio Pili, giovane studioso di Sestu, contiene una significativa selezione delle foto in B/N scattate da Bentzon, le registrazioni musicali³ da lui realizzate realizzate durante la festa (nel cd allegato) e le belle immagini a colori della raccolta di maschere che acquistò dagli abitanti del paese per inviarle al Museo di Copenaghen. L’importanza di queste maschere sta nel fatto che esse rappresentano gli ultimi esemplari di una tradizione di manufatti intagliati con particolare perizia dai pastori per essere poi offerte gratuitamente agli abitanti del villaggio. Questo ricco materiale iconografico e musicale è accompagnato da una serie di scritti curati da diversi autori. Tra questi compare anche l’articolo che Bentzon pubblicò nel 1967 su una rivista danese specializzata, in cui descrisse il Carnevale di Ottana come “festa delle vedove e dei banditi”.
Colpisce, nelle fotografie scattate da Bentzon, la sincerità e l’autenticità dello sguardo. Le immagini ritraggono uomini in vestiti tradizionali accanto a persone non mascherate che indossano logore giacchette. Bentzon dunque non rimuove, come accadeva nei più noti reportage fotografici del passato, gli elementi di modernità della scena, rivelando in ciò attenzione rispettosa per il presente e per la storia. Più che ai significati tradizionali del Carnevale – fanno notare Uliano Lucas e Tatiana Agliani nel contributo da essi curato – Bentzon è interessato alle concrete condizioni in cui essa si svolge, in un momento di difficile passaggio verso una modernità ancora tutta da definire. Un approccio onesto di cui oggi avvertiamo la mancanza, di fronte a certe rappresentazioni artificiose del passato, fermato in scatti che appaiono fatti in un tempo imprecisato e in un luogo avulso dal contesto.
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1. Launeddas, Andreas Fridolin Weis Bentzon, a cura di Dante Olianas, Iscandula 2002, si compone di 3 compact disc.
2. Is launeddas. La musica dei sardi, film documentario in B/N girato da A. F. W. Bentzon in Sardegna nel 1962, composto da Fiorenzo Serra e prodotto da Dante Olianas, Cagliari, Iscandula 2006.
3. I canti furono registrati successivamente, nel 1962. Come si evince anche dalle foto, Bentzon tornò più volte a Ottana per brevi e fugaci soggiorni.