“L’anestesia del linguaggio non è altro che l’espressione superficiale dell’anestesia della memoria”. Questa frase di Enzo Collotti (in “Il nuovo segno del 25 aprile”, “Il Manifesto”25 aprile 2014”), esprime sinteticamente quanto uno stanco, superficiale e burocratico ritualismo, che riguarda l’Italia ma anche tutta l’Europa, in merito a “come si ricordano” avvenimenti cruciali della storia contemporanea quali la liberazione del campo di Auschwitz (27 gennaio 1945) o la Liberazione dell’Italia dal nazifascismo (25 aprile 1945), svuoti di senso quei fatti, il contesto in cui essi si svolsero, i lutti, i sacrifici, le passioni e le idee.
Quelle idee sono alla base della nostra democrazia.
L’anestesia della memoria riguarda Eugenio Curiel. Medaglia d’oro al valor militare, mummificato nel pantheon degli eroi della Resistenza, di lui non resta che qualche strada o scuola titolata a suo nome. Eppure la storia e il pensiero di Curiel, dimenticato e in gran parte rimosso anche da parte di quelle forze politiche della sinistra italiana che avrebbero dovuto valorizzarne l’eredità, sono di grande attualità e sarebbero estremamente utili oggi, nel momento in cui, sulla base di un rozzo empirismo, si mette mano a riforme costituzionali, che riguardano la base e i principi stessi sui quali si regge la repubblica e per i quali uomini e donne della Resistenza si sono battuti.
Il fondamentale saggio di Gianni Fresu ricostruisce, con il rigore scientifico dello storico, le vicende, per certi versi straordinarie, umane, politiche e culturali, di Eugenio Curiel, uno dei massimi dirigenti del PCI negli anni trenta del secolo scorso e uno dei protagonisti della Resistenza. Tali vicende, sostiene Fresu, fornirebbero ampia materia per una rivisitazione cinematografica della vita di Curiel.
Nella difficoltà di riassumere in poche righe un saggio storico, e rimandando al lettore curioso di storia il piacere della lettura esaustiva, quali i temi, di sostanza e di attualità, che si intendono sottolineare in questa recensione e che si possono cogliere nel libro di Fresu?
1. I Rapporti e le fratture generazionali
Eugenio Curiel, nato Trieste l’11 dicembre 1912, da una agiata famiglia di origine ebraica, laureato in fisica e matematica col massimo dei voti a Padova con una tesi dal titolo “Disintegrazioni nucleari per mezzo di radiazione penetrante”, fa parte ed è interprete delle istanze di quella “generazione degli anni difficili” che, cresciuti ed educati nel periodo di piena espansione del fascismo, seppero ben presto coglierne le contraddizioni dall’interno, in quei gangli portanti del regime, quali i sindacati fascisti (le corporazioni), l’università, le fabbriche, le campagne, il mondo cattolico. All’interno di queIle strutture Curiel capì che si poteva lavorare, non con astratti proclami, ma con concrete proposte a fianco degli operai, degli studenti, dei contadini, delle donne, per arrivare poi al definitivo tracollo del regime di Mussolini.
Contro ogni interpretazione meccanicistica e manichea della realtà, per cui da una parte c’era il un moloch inespugnabile, il fascismo, dall’altra minoranze di puri antifascisti, Curiel e i giovani degli anni difficili , tennero i collegamenti con i vecchi antifascisti della diaspora, quelli che avevano conosciuto la Marcia su Roma e avevano patito le Leggi Fascistissime del 1925. Senza questo lavoro dall’interno, pericoloso e rischioso, la Resistenza e la stessa fase costituente non sarebbero state possibili.
Sostiene Fresu “I temi del rinnovamento anagrafico e della cosiddetta “rottamazione”, sembrano oggi monopolizzare l’attenzione del dibattito politico, sovente a prescindere dalla proposta avanzata. Nella storia non sono mancate fratture generazionali, tuttavia, i risultati più profondi in termini di rinnovamento si sono avuti quando tra vecchie e nuove generazioni si è determinata una saldatura incentrata sulle scelte di campo”. Allora l’alleanza tra generazioni portò alla cacciata del fascismo, alla Costituzione, e oggi?
2. Il marxismo eterodosso di Curiel
Curiel non arriva al marxismo e al PCI per le vie tradizionali. La sua formazione scientifica, la naturphilosophie di Steiner, che egli studiò e coltivò negli anni dal 1933 al 1935, le sue letture filosofiche e letterarie (Rosmini, Gioberti, Cavour, Garibaldi, , Mazzini, Matteott Gentile, Steiner, Hegel, Heidegger, Tolstoj, Croce,i, Leopardi, Zola, Sorel, Bucharin, il Gramsci ordinovista, Marx) ne fecero un marxista immune da ogni settarismo. Curiel matura la decisione di aderire al PCI nella metà degli anni 30: nel 1935 entra a far parte della cellula clandestina comunista dell’Università di Padova assieme a Atto Braun, Guido Goldschmied e Renato Mieli (padre di Paolo Mieli), nel ’37 si reca a Parigi, dove stabilisce i primi contatti e le prime direttive con il gruppo dirigente comunista all’estero (Emilio Sereni, Ruggero Grieco, Ambrogio Donini).
Animato dall’assillo di come conciliare la teoria con l’azione pratica, egli non si serve dei classici per interpretare la realtà, ma è dalla realtà che si deve partire per meglio capirla, interpretarla, indirizzarla verso il socialismo. I classici sono degli strumenti per l’azione pratica.
Curiel fu tra gli ispiratori della svolta del PCI negli dal 1936/37. Intuendo i rischi di involuzione, di stalinismo e di burocratizzazione del PCI, egli, nell’azione e negli scritti di quegli anni e fino al tragico epilogo della sua vita (nel “Il Bò”, il giornale degli universitari fascisti dell’Università di Padova, poi nel Fronte della Gioventù e poi ancora ne “l’Unità”) si fa anticipatore di tutti i temi che, nel rapido evolversi della situazione internazionale, diverranno patrimonio dei tutte le forze antifasciste: il carattere unitario che deve assumere la lotta al fascismo, il protagonismo delle masse popolari nella resistenza e nella nuova Italia post fascista, il rapporto necessario col PSI, con le masse cattoliche, con gli azionisti, con le forze liberali e perfino monarchiche, la costituente, la democrazia come valore.
3. La democrazia progressiva
“Noi parliamo di democrazia progressiva come della forma di vita politica e sociale che si distingue dalla vecchia democrazia prefascista in quanto si forma sull’autogoverno delle masse popolari.
Non si tratta quindi di una democrazia che si esaurisca nella periodica consultazione elettorale, ma di una forma di vita sociale politica che assicura, attraverso le libere associazioni di massa un peso preminente alla partecipazione popolare al governo” (in “L’Unità” edizione dell’Italia settentrionale, n. 11); “La democrazia progressiva non è una condizione di equilibrio delle forze sociali: l’esistenza di una democrazia progressiva è condizionata al continuo progresso sociale, alla sempre più decisa partecipazione popolare al governo, alla sempre più matura egemonia della classe operaia” (citazione di Fresu da “E.Curiel, Scritti 1935- 1945, vol II, pag.15.)
La democrazia progressiva è il punto di arrivo, originale e di grande attualità, del pensiero di Eugenio Curiel. Il suo “lungo viaggio contro il fascismo” lo avvicina, per alcune intuizioni politiche, ad Antonio Gramsci. Sebbene i due intellettuali comunisti non si conobbero mai, l’idea di democrazia progressiva di Curiel è assai vicina a quella di egemonia, elaborata da Gramsci nel carcere, e compiutamente esposta nei Quaderni. Al di fuori di ogni cadornismo (oggi lo chiameremmo leaderismo), entrambi credono nella capacità che avranno le masse popolari, in una sorta di rivoluzione permanente, di organizzarsi , nelle forme associative proprie (partiti, sindacati, organismi consiliari, comitati di cittadini di entrambi i sessi, giornali) verso una società basata sulla reale partecipazione di tutti al governo della cosa pubblica.
Tonino Sitzia