La poesia è il cuore e la mente che si aprono al mistero, è esperienza, è vita nella sua totalità. La Parola è sempre dono. Per questo Borges amava la poesia, non il romanzo dove c’è finzione, un inevitabile atto di falsificazione della realtà. La poesia non è astrazione. Non è accademia, non è metrica, non è una riflessione intellettuale. Non è l’ideologia dantesca del peccato e del giudizio. È un atto di piena e incondizionata adesione all’essere, all’esistere. È metafora vivente per dirla con Paul Ricouer. È parola che fa tremare i polsi, martellare il sangue nelle vene. È pura emozione come la poesia di Angelica. Penetra nelle cose di ogni giorno talmente a fondo da essere così vicino alla
morte. È un’esperienza di morte. Il poeta vive nudo di fronte al mondo, sempre. La parola riveste questa nudità. È lo specchio spietato di fronte al quale il poeta è profondamente, intimamente uomo. È l’inno alla morte dell’ego. Mostra il visibile e l’invisibile.Per questo nelle poesia non si può barare. Fingere.
È un viaggio incessante dentro se stessi, la scoperta meravigliata e a volte dolorosa del mistero che è dentro ogni essere. È il percorso che il poeta compie per ritrovare se stesso senza rinnegare nulla, per riconquistare la purezza originaria sua e del mondo. La poesia è madre che accoglie, indulgente, lieve, tenera. Ma è anche padre duro come il ferro. È dialogo del poeta con se stesso, del poeta col lettore, del lettore con se stesso. Con il mondo. È voce che trasporta altre voci. Quelle di chi non ha voce. Quella di ogni donna, di ogni bambino, di
ogni essere che ha subito e subisce violenza. Diretta o indiretta. Fisica e psicologica. E ci vuole coraggio per assumere su di sé queste voci e condividere la propria esperienza di dolore.
Come ogni dono la parola porta la speranza. La consapevolezza che la natura di noi uomini non è affatto malvagia. Che il male non è connaturato e perciò inevitabile. Che la violenza subita può essere abbracciata, trasformata in un’esperienza capace di illuminare i giorni nuovi. E evitare così di moltiplicare la sofferenza, di infliggere a nostra volta dolore. Il mondo non ha bisogno di più petrolio, più denaro, più cibo. Ha bisogno di meno avidità, di meno odio, di meno ignoranza. Di più silenzio, di più poesia.
La poesia è al di là di tutto questo. È la voce che va dritta al cuore, alla natura essenziale dell’uomo. È testimonianza che questa natura è la stessa della rosa in boccio, della foglia d’autunno, delle radici, della terra inquinata, dello sguardo di un cane. Delle stelle che bruciano i loro gas per milioni di anni per poi spegnersi, e restituire all’universo nuova materia.
Anche la poesia è ridonare ciò che si è ricevuto dalla vita moltiplicato per ogni giorno che si è vissuto. È un sì alla vita. È un atto di fedeltà e di compassione. Un prendersi cura di se stessi. E in questo modo prendersi cura anche del mondo.
Nelle poesia ogni parola sta accanto all’altra. Ogni verso prende ritmo e senso dagli altri. Nessuna parola ha significato a se stante. Trova la sua bellezza in ogni altra parola. Dipende dalle altre come ognuno di noi trova il suo senso nello stare in relazione con gli altri. Tuttavia la parola poetica è ambigua e limitata. Come non potrebbe esserlo di fronte al mistero della vita? Dell’universo, della nostra mente, del nostro corpo, delle nostre emozioni. Al mistero del perché proprio la persona che ci ama è colei che ci violenta, ci infligge dolore, ferisce il nostro viso, lascia cicatrici indelebili nella nostra identità, nel nostro cuore. Per questo si continua a scrivere. Per salvarsi. E la poesia più vera è quella che ancora non è stata scritta. Per questo la parola nasce nel silenzio e al silenzio ritorna, al verbo, al Logos da cui ha tratto origine ogni materia vivente. La poesia è il costante ritorno all’origine, alla purezza che niente e nessuno può sottrarci. Neppure con la violenza.