Le due facce della guerra. Gli studi recenti stanno mettendo in luce il duplice volto della Prima guerra mondiale. Da un lato c’è la guerra tramandata dai libri di storia, quella combattuta con “gloria e onore” dai soldati al fronte. Dall’altro lato c’è la guerra a lungo sottaciuta o rimossa, quella dei morti per malattia e dei prigionieri di guerra. La Sardegna ne rappresenta un esempio emblematico. Il primo aspetto è rappresentato dalle “eroiche” vicende della Brigata Sassari; il secondo dalla tragica storia dei prigionieri austro-ungarici deportati nell’isola dell’Asinara.
“Gli intrepidi sardi della Brigata Sassari”. Così è abbastanza noto il fatto che la Sardegna, pur non essendo stata una regione teatro di guerra, abbia avuto durante il primo conflitto mondiale un ruolo di primissimo piano. Il contributo dato alla guerra dai sardi è attestato da numerosi e prestigiosi riconoscimenti, individuali e collettivi, conquistati sul campo di battaglia dalla Brigata Sassari. Il coraggio dimostrato dai suoi fanti e ufficiali procurò peraltro ai sassarini una meritata fama anche presso la popolazione civile. Molto significativo appare al riguardo un brano filmico del documentario realizzato dal Club del modellismo storico di Cagliari, intitolato “Trincee. Dalla Sardegna al Carso”. Esso mostra il trionfale ingresso della Brigata Sassari a Vincenza. Accompagnata dal giovane ufficiale Emilio Lussu, la Brigata viene salutata da una folla festante e visibilmente riconoscente. Un’inquadratura si sofferma su un cartello sorretto da una donna: a chiare lettere si ringraziano i combattenti sardi (e non anche l’esercito italiano!). Sulla vicenda della Brigata Sassari e dei suoi valorosi fanti sono state scritte pagine di grande interesse storico e letterario, a cominciare da Un anno sull’altipiano (1938), il racconto di Emilio Lussu che ha ispirato il film Uomini contro del regista Francesco Rosi (1970). Gli storici concordano sul fatto che la Prima guerra combattuta in trincea incise in maniera profonda nella coscienza dei soldati e dei reduci. Essa fu un’esperienza capace, come poche volte è accaduto nella storia della Sardegna, di far maturare nei sardi un alto grado di consapevolezza che ha avuto importanti conseguenze sul piano politico e sociale.
“I dannati dell’Asinara”. Meno studiata e conosciuta è invece un’altra vicenda bellica che, al contrario, si consumò nel territorio della Sardegna. E’ la storia dei soldati austro-ungarici, un contingente di circa 50 mila uomini, catturati e trascinati dall’esercito serbo nella ritirata seguita all’occupazione del proprio territorio nazionale da parte degli eserciti nemici. Costretti a una estenuante marcia forzata lungo strade e sentieri nevosi di montagna, furono condotti sino all’Albania. Qui, quanti di essi erano sopravvissuti alla fame, alla fatica e alle percosse, furono presi in carico dall’esercito italiano di stanza a Valona. Poiché tra le file di questi prigionieri si erano diffusi il colera e altre malattie contagiose si decise infine di trasferirli nell’Asinara. In passato infatti quest’isola era stata attrezzata come stazione sanitaria contumaciale per far fronte all’ultima grande epidemia di colera che colpì Napoli del 1884. Di questo episodio sino a qualche anno fa non si trovava traccia nei libri di storia. Il primo articolo specifico rintracciabile nelle biblioteche è stato pubblicato sull’Almanacco di Cagliari del 1996 e reca la firma di Carla Ferrante. Recentemente dell’argomento si è interessata anche la professoressa Eugenia Tognotti dell’Università di Sassari, nell’ambito dei suoi studi di storia della medicina. In una conferenza tenuta nell’Aula Magna dell’Università di Sassari per il “Progetto articolo 9 della Costituzione”, la Tognotti ha inquadrato questo avvenimento tra quelli che compongono “l’altra faccia della guerra”: quella dei soldati morti per malattia, nelle retrovie, lontano dai campi di battaglia, negli ospedali militari e da campo, nelle infermerie, nei campi di addestramento. Furono milioni – sostiene la Tognotti – molti di più di quelli che morirono sul campo di battaglia. Morivano tra atroci sofferenze ma, non essendo registrati nei bollettini di guerra, classificabili quindi tra i “caduti”, tra i morti in battaglia “con gloria”, la storia li ha presto dimenticati. «Si resta sconvolti – confessa la Tognotti, che pure è abituata a misurarsi con resoconti di catastrofi naturali e con la morte di massa dovuta alle incursioni della peste o del vaiolo in città popolose – di fronte alle descrizioni della lotta per la vita di quegli uomini nudi, scalzi, intirizziti che si avventavano, azzuffandosi tra loro, su carogne di animali morti lungo la strada per cercare di strappare qualche pezzo di carne».
L’Unione Sarda, martedì 6 ottobre 2015, ha dedicato alla vicenda dei prigionieri austro-ungarici tradotti all’Asinara il supplemento “La Grande guerra” (il nono della serie). Carlo Figari e Alberto Monteverde ne ripercorrono gli aspetti salienti citando puntualmente fonti e testimonianze coeve. Tra queste colpisce per la vivezza del racconto la testimonianza tratta dal diario di Amelie Posse, scritto tra il 1915-1916 e pubblicato nel 1931. Il libro è fuori commercio ma la Biblioteca regionale conserva sia l’edizione originale in lingua inglese che una recente traduzione curata da Aldo Brigaglia (Interludio di Sardegna, Tema, Cagliari 1998). La famosa scrittrice svedese in quegli anni era internata in Sardegna insieme al marito, suddito dell’impero austro-ungarico, nel suo diario definisce l’Asinara “l’isola della morte”. In un’estremità del’isola – scive – erano stati isolati, sotto le cure di alcuni coraggiosi frati francescani, ottocento casi di lebbra. Morivano come mosche all’Asinara. Durante i primi mesi centinaia di cadaveri, a volte anche sei o settecento al giorno, venivano ricoperti calce viva e caricati su barconi della morte appesantiti con pietre. Quando raggiungevano il largo, a distanza di sicurezza dall’isola, venivano silurati e affondati… (pg. 138). Più avanti, quasi alla fine del libro (pg. 254-255), riferisce un raccapricciante fatto accaduto in un ristorante di Sassari. Avevo detto al camerire – racconta Amelie Posse – che volevo tutti i giorni pesce ma quel giorno sul menù c’era solo tonno fritto […]. Stavo masticandoe deglutendo con molta riluttanza, e comunque ero riuscita a mandarne giù un bel po’, quando il cameriere venne a chiedermi se per caso non l’avessi gradito. Risposi che era tremendamente grasso, e che questo era il motivo per cui lo mangiavo a fatica. Se ne uscì col dire che non c’era da meravigliarsi che fosse grasso, visto che era stato catturato nei pressi dell’Asinara dove ogni giorno venivano buttati in mare centinaia di morti: “un bel terreno di coltura!”. E a riprova di ciò si tolse di tasca il bottone di un ufficiale serbo che il cuoco aveva trovato proprio nello stomaco di quel pesce. Con un sorriso smagliante mi chiese se volevo tenerlo come ricordo o come curiosità […]. Era troppo! […] divenni completamente vegetariana!.
Nel supplemento dell’Unione Sarda tra le fonti si cita inoltre la Relazione del campo dei prigionieri colerosi del generale Carmine Ferrari, pubblicata nel 1929. Carlo Figari la segnala come “quasi introvabile”. Una delle rare copie di questo documento è reperibile nella Biblioteca regionale, mentre sulla Digital library si trova la versione digitalizzata in formato pdf. E’ questo un documento molto importante che testimonia dell’enorme lavoro fatto dal personale medico e dalle autorità civili e militari per fronteggiare la drammatica situazione. L’urgenza di sgomberare il porto di Valona per non mettere a repentaglio la vita dei militari italiani di stanza in Albania, aveva spinto le autorità militari a ignorare le misure sanitarie prescritte per contenere l’epidemia. In brevissimo tempo (8 settimane a partire dal 15 dicembre) furono trasferiti sull’isola circa 23 mila prigionieri, malatti e sani insieme. Il risultato fu che l’epidemia si diffuse rapidamente e provocò migliaia di morti. Per far fronte all’emergenza vennero allora messi in piedi i servizi per curare i malati e per la disinfestazione, organizzato il vettovagliamento e attrezzati campi in diverse località dell’isola. Vennero scavati pozzi e costruiti serbatoi per la raccolta dell’acqua, costruiti forni per il pane, cucine e altre strutture utili alla sopravvivenza nell’isola. Fu persino costruita una cappella in uno stile architettonico molto originale che rimandava a culture e religioni diverse (cattolica, protestante, cristiano-ortodossa orientale), riflesso del complesso mosaico di etnie che componevano l’esercito austro-ungarico. Dal censimento dei prigionieri risulta che tra i “dannati” dell’Asinara vi erano diversi artisti. Alcuni di loro realizzarono opere monumentali di vario genere (bassorilievi, statue, altari) e in appositi laboratori attrezzati crearono manufatti in legno e terracotta che successivamente vennero esposti in un piccolo Museo.
Sincera traspare invece la riconoscenza di uno dei prigionieri austro-ungarico nei confronti di una donna che viveva in una azienda agraria del Sulcis in cui era stato inviato a prestare il suo lavoro. Era forse uno degli artisti censiti dalle autorità militari. Con perizia e abilità realizzò per lei un grazioso anello con incastonata una foto che la ritrae. Sebbene non per tutti essere «chiamati a produrre per sé e per gli altri» abbia significato un «ritorno» alla propria dignità – come voleva il generale Ferrari – quel dono testimonia che forse per quel giovane soldato l’ “inferno”, almeno per qualche mese, si era trasformato in “paradiso”.
Sandra Mereu
Bibliografia
Carla Ferrante, L’arrivo dei disperati. Una pagina poco nota della prima guerra mondiale: i soldati austro-ungarici all’asinara. In Almanacco di Cagliari, 1996.
La memoria della grande guerra in una chiesetta dell’Asinara – Conferenza di Eugenia Tognotti (video)
Eugenia Tognotti, I dannati dell’Asinara. In Il grande sacrificio: 1915-1918, a cura di Giovanni Gelsomino. Inserto dell’ Almanacco di Gallura, 2014.
Luca Gorgolini, I dannati dell’Asinara. L’odissea dei prigionieri austro-ungarici nella Prima guerra mondiale, UTET, 2011.
Dove si trova il suo terreno?
In un mio terreno esiste una costruzione adibita a prigione, in cui ci furono detenuti prigionieri Austriaci ..questi erano una trentina e furono usati per lavori agricoli