Con la testa già in stazione e il resto del corpo ancora nel tunnel, la metro si ferma di schianto con un allarmante stridore di ferro contro ferro. Le luci si spengono, balbettano, si riaccendono. Dal tunnel intravedo appena una mezza luna dell’ingresso della stazione. Una donna sulla banchina opposta: le mani sul turbante, il vestito africano dai colori tropicali, grida ‘Mio Dio’.
In un vociare confuso e disordinato, la voce gracchiante e tremante del conducente annuncia: ‘Qualcuno si è buttato sotto il treno. State calmi. Vi prego di pazientare’.
Per tutta reazione qualcuno in uno dei vagoni sbatte contro le porte e grida ‘aprite’. Telegrafico il conducente risponde:
‘Forse non mi sono spiegato! Qualcuno si è suicidato. Non posso aprire, devo aspettare la polizia. Per ora non posso fare altro’.
Una ragazza davanti a me si volta, ha gli occhi gonfi di un trucco pesante, che le dona vent’anni di più, sposta un auricolare dall’orecchio destro e a naso storto chiede:
‘Cos’è?’.
‘Qualcuno si è gettato sotto il treno’, la informo.
‘Merde!’, mormora lei. Risistema le cuffie e riprende a oscillare la testa bionda al ritmo del suo Parkinson giovanile.
Un tipo seduto al lato prende il telefono, digita, parla con tono tra l’ironico e l’esasperato:
‘Avevi ragione, sarei dovuto restare / qualcuno si è buttato sotto il treno / sono bloccato’.
Ripenso alla serie di eventi che hanno fatto sì che io salissi su questo treno e non sul precedente.
Mio marito che dice: ‘Un altro bicchiere e poi andiamo’.
Jean che accompagnandoci in auto alla fermata della metro, sbaglia e ci fa scendere alla fermata successiva.
Josette che sull’uscio, pronti a andar via, s’incastra in una discussione sulla difficoltà di trovare informazioni per completare il suo albero genealogico.
Non la capisco questa smania di riesumare morti, che in vita non abbiamo mai incrociato. Ecco, quel discorso ha fatto sì che questo treno, sul quale io sto ora, si sia incrociato con la morte di qualcuno che non ho mai incontrato in vita mia.
Ho un crampo allo stomaco quando una domanda s’insinua nel mio cervello: ‘Avrà documenti su di sé?’. Un Qualcuno generico, né uomo, né donna.
Penso a quel corpo informe sotto il treno, di cui nessuno saprà mai il nome. Forse ha ragione Josette. Forse bisogna recuperare la memoria dei morti.
Quanto ci vorrà? Cinque minuti, mezz’ora, un’ora. Un torpore ansioso s’impossessa del vagone.
La porta sul fondo del vagone si apre all’improvviso. Le nostre teste silenziose e basse si alzano di scatto. Un grosso poliziotto black si affaccia:
‘Potete uscire, da qui, attenzione al passaggio’. Al passaggio vedo i binari nel vuoto sotto di me. A ogni passaggio c’è un vuoto e un poliziotto black, che gentile e virile dice ‘attenzione al passaggio’. Sulla banchina ci sono poliziotti black e pompieri bianchi in arancione, che gentili, calmi e virili, dicono ‘All’uscita della metro, vada a sinistra, prossima stazione Belleville’.
All’uscita della metro prendiamo tutti a sinistra, dove una strada scende ripida. Sullo sfondo scuro della via la Tour Eiffel s’illumina di colpo, come sempre fa a ogni mezza di tutte le ore della notte. Anche ora lo fa, come se niente fosse stato, scoppietta luci bianche, rosse, blu. Dalla cima spara un fascio di luce bianca che schiaffeggia il cielo nero a destra e manca. Siamo folgorati da tanta inattesa bellezza. Abbiamo un attimo di esitazione, come abbagliati, noi che usciamo dal buio della metro. Scendiamo in ordinata fila indiana, poi ci confondiamo, mescolandoci alla folla festante del sabato notte. Tutti, ostinatamente, diretti verso la radiosa Belleville.
Carla Cristofoli
Il racconto “Prossima stazione Belleville” è stato pubblicato in “Lei. Ultimo tango a Cagliari?”, antologia delle opere della VI edizione (2015) del Concorso letterario CARTA BIANCA, Kalb Edizioni.