Venerdì 8 aprile 2016 è stato presentato, presso la Sala Congressi della Fondazione di Sardegna, il volume “La Sardegna Contemporanea: idee, luoghi, processi culturali” curato da Luciano Marrocu, Francesco Bachis e Valeria Deplano.
Il corposo volume (oltre700 pagine) va a colmare un vuoto non tanto sugli interessi sulla Sardegna, che anzi, nei campi più disparati, si sono moltiplicati negli ultimi anni, quanto sull’approccio storico scientifico agli studi sardi, che, come sostengono gli autori nell’introduzione, ha conosciuto una “situazione di stallo” rispetto a come essi erano andati strutturandosi nella seconda metà del Novecento. Non è un caso, essi scrivono, che la rivista “Studi sardi” ha cessato le sue pubblicazioni nel 2010.
Bisogna, per andare a studi organici sulla Sardegna degli ultimi due secoli, risalire alla monografia curata da Luigi Berlinguer e Antonello Mattone dal titolo “Storia d’Italia. Le Regioni dall’Unità ad oggi. La Sardegna” dell’Einaudi (1998), e alla “Storia della Sardegna dal Settecento a oggi”, a cura di M.Brigaglia, A. Mastino e G.G. Ortu, pubblicata nel 2002, per le edizioni Laterza.
È interessante il fatto che “La Sardegna Contemporanea: idee, luoghi, processi culturali” sia stata curata da Luciano Marrocu, professore ordinario di Storia Contemporanea nell’Università di Cagliari, allievo di Paolo Spriano e Giuliano Procacci, che già era intervenuto nel citato volume di Einaudi, e da due giovani studiosi, Francesco Bachis, ricercatore di antropologia a Siena, allievo di Giulio Angioni, perfettamente inserito in continuità con quella sorta di Scuola di Antropologia cagliaritana, legata a Ernesto De Martino, Alberto Mario Cirese e Clara Gallini, e Valeria Deplano, ricercatrice di Storia Contemporanea nell’Università di Cagliari.
Dunque i tre curatori, anche per ragioni anagrafiche, si muovono, nell’approccio alla storia della Sardegna, sulla linea della continuità-discontinuità, e si servono di studiosi appartenenti a diversi ambiti di studio, giovani e meno giovani, così che ne scaturisce il quadro variegato e multidisciplinare di una regione in movimento e le cui chiavi di lettura superano ogni visione superficialmente organicista.
Tale quadro è sviluppato non tanto in senso cronologico quanto per argomenti o temi inerenti la “Contemporaneità”: Genti, Luoghi, Politica, Economia, Culture e Sguardi, ciascuno dei quali è articolato a sua volta in specifici saggi da parte di studiosi non solo “di storia”, ma di antropologia, demografia, sociologia, economia, linguistica, geografia, letteratura, molti dei quali suggeriscono approcci nuovi e punti di vista inediti su diversi aspetti della realtà sarda contemporanea. Per esempio come non leggere (e studiare) con curiosità il saggio di Eugenia Tognotti e Andrea Montella su “La nuova morfologia delle genti sarde e l’evoluzione dell’immaginario geografico della Sardegna”, in cui tra dati, statistiche, comparazioni tra le diverse regioni d’Italia, si apprende che “dopo la malaria” la Sardegna era già diversa e l’altezza media dei giovani adulti sardi “è cresciuta in Sardegna, tra il 1894 e il 1990, di 1,13 cm per decade, più che dell’intera nazione (1,06 per decade)”. Oppure quello di Eva Garau “Crisi albanese, immigrazione e modelli di integrazione. Il caso della Sardegna”, studio sui nuovi “pastori salariati”, minoranza certo ma anche interessante riflessione su un tipo di approccio dei sardi con gli immigrati che informalmente e spesso extra norma è segnato da una solidarietà “a sa sarda”, quasi un tratto identitario rispetto al declino della solidarietà che, alla fine degli anni ’90, ha segnato il territorio nazionale.
O ancora il saggio di Pietro Clemente (in “Luoghi”) dal titolo “Un isola nell’isola: un bricolage antropologico con pezzi di Costa Smeralda” dove i mutamenti in corso ormai da decenni fanno saltare le tradizionali categorie del “costa esterna e contaminatrice” contro il “ghetto eden dell’interno“, e dove l’antropologo registra un nuovo compromesso e “strane alleanze” in Costa tra pastori, sindaci, sindacalisti, costruttori (Clemente ricorda il “blocco storico” gramsciano per l’egemonia) perché il tempo lavora per l’integrazione e la nuova Sardegna, per dirla con Alberto Mario Cirese, avrà i piedi nel borgo e la testa nel mondo.
Nel campo dell’economia segnalo, tra gli altri saggi, quello di Sandro Ruju, che era già intervenuto nel volume Einaudi, “Il lavoro in Sardegna. Mutamenti, immagini, testimonianze” e quello di Ester Cois “Dalla casa al campo. Percorsi biografici femminili nelle imprese agricole familiari sarde”, in cui viene analizzato il fenomeno del lavoro femminile nelle imprese rurali in chiave “non resistenziale o suppletiva, ma propositiva e autonoma” in un ambito tradizionalmente a connotazione maschile.
Sono solo alcuni esempi dell’ampio materiale che il libro mette a disposizione del lettore curioso di cose sarde. Sfuggendo al rischio di enciclopedismo, gli autori, nell’introduzione, dicono esplicitamente di non aver voluto offrire visioni “organiche” o “qualcosa di tutto”, ma di voler dire “molto”, quasi un “affresco” di ampio respiro per stimolare la riflessione e la discussione.
La parola chiave, il filo conduttore che regge tutto il libro, è quella usata da Valeria Deplano nel suo saggio “Ripensare la Sardegna”: decostruire, per sfuggire agli stereotipi su cui anche gli stessi sardi si sono cullati rispetto alla loro terra e a se stessi, recuperando quello spirito del gruppo che, negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, attorno ad Antonio Pigliaru, portò alla pubblicazione di “Ichnusa”, la rivista che si poneva l’obiettivo di “abbattere il muro tra chi narra e chi era narrato, nel capire il punto di vista di quest’ultimo, e nel provare restituirlo” (Deplano, pag.691).
Un programma ancora oggi di grande attualità.
Tonino Sitzia
Giugno 2016