La shoah è oggi un tema universalmente conosciuto. Film, libri, banche dati della memoria e altre lodevolissime iniziative hanno contribuito a tenere vivo il ricordo di quanto è accaduto creando un argine contro il negazionismo e il rischio dell’oblio. Nondimeno, si avverte negli ultimi anni il prevalere di un approccio al tema che fa leva sull’emotività e i sentimenti. I racconti basati sulla memoria di chi ha vissuto in prima persona il dramma della deportazione nei campi di sterminio focalizzano l’attenzione sull’orrore subito e rischiano perciò di far apparire lo sterminio degli ebrei come una pura manifestazioni della malvagità umana, lasciando nell’ombra le cause profonde e allo stesso tempo “banali” che ne sono all’origine. Un approccio che non spiega e dunque non permette di capire in che modo dobbiamo vigilare criticamente sul presente affinché non si ripetano gli errori del passato.
Ottanta anni dalle leggi razziali. Il libro di Mario Avagliano e Marco Palmieri, Di pura razza italiana: l’Italia ariana di fronte alle leggi razziali è la lettura consigliata per chi a 80 anni dalla promulgazione delle leggi razziali vuole veramente capire “come è potuto accadere” e “perché è accaduto” anche in Italia. Diverse generazioni di italiani sono cresciute con la convinzione che la responsabilità della persecuzione degli ebrei fosse tutta da attribuire ai nazisti. Per lungo tempo la memoria collettiva, complice una parte della storiografia, ha tramandato l’idea di una pagina nera della storia che gli italiani hanno subìto passivamente.
Italiani brava gente? Il merito della ricerca che sta alla base di questo libro è proprio quello di aver fatto emergere un’altra scomoda verità. Una verità storica che sfata definitivamente il mito degli “italiani brava gente”, estendendo a larghi strati di popolazione la responsabilità di tante ingiustizie e atrocità perpetrate a danno di propri concittadini, colleghi, vicini di casa. Gli autori del libro (Avagliano è stato ospite di Equilibri in occasione della Giornata della Memoria 2014) dimostrano, con documenti alla mano, che gli italiani sono stati complici consapevoli del regime fascista. Ne hanno condiviso la politica razzista per conformismo, opportunismo e solo dopo per paura. Due sono in particolare, tra gli aspetti indagati, quelli che meglio aiutano a capire le dinamiche del fenomeno. Da un lato le modalità attraverso le quali il fascismo riuscì a creare un largo consenso di massa intorno a un’odiosa e vergognosa politica di segregazione e persecuzione ai danni di una parte di cittadini italiani; dall’altro le ragioni per cui, caduto il fascismo, ciò che era accaduto venne prontamente rimosso dalla cultura e dalla politica.
Il ruolo della stampa. Illuminanti a questo proposito sono i capitoli del libro dedicati al ruolo giocato dalla stampa nell’attuazione della politica razzista del fascismo. A quel tempo infatti la stampa era il più importante mezzo di comunicazione di massa, capace in quanto tale di un enorme potere di condizionamento dell’opinione pubblica. I giornali preparano il terreno e poi accompagnano all’unisono e in un crescendo di toni la politica antisemita del fascismo.
Di pura razza ariana, anche i sardi. Un contributo convinto e puntuale arrivò anche dalla stampa sarda. Nel libro è citato un articolo apparso sull’Unione sarda del 9 settembre 1938 (vedi immagine al lato) dall’incredibile titolo “I sardi sono un gruppo purissimo di razza italiana”. Scopo dichiarato del pezzo era quello di sostenere e rinforzare la tesi del docente universitario sardo Lino Businco, apparsa qualche giorno prima (5 settembre 1938) nella rivista La difesa della Razza. Nel tentativo di dare forza scientifica alla tesi razziale che voleva i sardi appartenenti al ceppo italico e quindi ariano, Businco si prodigava a dimostrare che i sardi, “quegli uomini i cui antenati avevano dato origine alla luminosa civiltà dei Nuraghi”, non potevano appartenere a “opachi raggruppamenti razziali africani”. L’italianità dei sardi era ben dimostrata, secondo Businco, dall’origine latina della lingua e dai forti tratti di somiglianza che il sardo conserva con la lingua madre, anche in ragione della comune origine tirrenica (italica) dei romani e dei sardi. Evidentemente sfuggiva ai razzisti dell’epoca che la diffusione del latino in Sardegna più che ai romani si deve alla successiva penetrazione del cristianesimo nell’isola, mentre fingevano di non vedere i resti della colonizzazione fenicia e punica (dunque africana!) e le inevitabili tracce che questa ha lasciato nel nostro DNA (ovvero nel sangue, come si sarebbe detto allora).
L’importanza dei documenti. Per la ricostruzione di questa vicenda storica gli autori del libro si sono serviti dei documenti del Ministero della Cultura Popolare (Minculpop). Si tratta di un fondo di grande importanza conservato nell’Archivio centrale dello Stato, stranamente dimenticato dagli studiosi del passato¹. Agli uffici del Minculpop confluivano infatti le note riservate inviate dagli informatori disseminati nelle varie città italiane. “Le spie del regime – scrivono gli autori – erano ovunque e raccontavano fatti di ogni tipo e genere: episodi ai quali avevano assistito, conversazioni intercettate fingendo di leggere un giornale ai tavoli di un bar, notizie riferite da terze persone, opinioni più o meno diffuse in certi ambiti e contesti, reazioni agli articoli dei quotidiani”. Sino a pochi anni fa l’idea prevalente, accreditata dallo storico Renzo De Felice nella sua Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo (1961), era quella secondo la quale la maggioranza degli italiani fosse rimasta indifferente alla massiccia e osannante preparazione della stampa e all’azione diretta del PNF (Partito Nazional Fascista). E sempre secondo De Felice, la minoranza che aderì alla campagna contro gli ebrei lo fece per viltà o per opportunismo. Le ragioni di queste conclusioni si spiegano proprio con il fatto che De Felice aveva avuto accesso solo ad una minima parte dei documenti custoditi negli archivi fascisti. Gran parte delle sue deduzioni si basano sulle relazioni dell’Ovra (la polizia segreta fascista) che riportano considerazioni di questo tenore: “il problema razziale era per la totalità della popolazione italiana veramente inesistente”.
La rimozione. Col venir meno per il passare degli anni dei testimoni diretti, i documenti d’archivio sono diventati le fonti fondamentali e imprescindibili per la ricostruzione oggettiva di questa triste e vergognosa pagina di storia. Ma certo così non doveva essere negli anni ‘60 del secolo scorso, quando De Felice compiva le sue ricerche. E’ evidente che tanti italiani, dopo la fine del regime fascista, hanno guardato altrove, occultato responsabilità, minimizzato colpe e le stesse dimensioni del fenomeno. Il verbale della riunione del Consiglio dei Ministri dell’8 dicembre 1943, concludono Avagliano e Palmieri, è il primo atto di una gigantesca operazione di rimozione delle responsabilità italiane nella persecuzione degli ebrei.
Sandra Mereu