18 Dicembre 2024
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Un’intervista impossibile. Colloquio con Don Gabriele Asquer, Su Bisconti – III (ed ultimo) capitolo

Immagine: Effigie del Monte Granatico (1788), Casa Asquer a Elmas

In realtà io non sono mai stato Visconte. Questo titolo appartiene a mio nonno Francesco Giuseppe, che aveva chiesto al Re di Sardegna Carlo Emanuele III, certo pagando il dovuto, di trasformare il feudo di Flumen Major, appartenente a sua madre Eleonora Gessa, in viscontado. Il re concesse il titolo, per lui e per i suoi successori, con diploma del 14.9.1747. Il secondo ad assumere il titolo fu mio padre Gavino, e poi il mio amato fratello Francesco Maria. – Certo…ha avuto coraggio a investite in questo luogo…non doveva essere poi così adatto per coltivazioni o seminativi… – Ha ragione…Lei, tra i tanti difetti, tra cui il più grave è di entrare furtivamente nelle proprietà altrui, mostra una certa perspicacia…se la regione si chiamava pixina matzeu e il distretto era ”de Is Tramatzus”, il luogo era evidentemente paludoso e malsano…ma io sfruttai le opportunità di legge, una certa propensione familiare per gli investimenti in terre, e una testardaggine atavica – Non la seguo… – Mi spiego meglio…il 3 dicembre 1806 il re di Sardegna Vittorio Emanuele I emanò un editto che dava la possibilità di chiudere dei terreni per favorire le piantagioni di ulivo, gelsi, e la costruzione di cascine alla maniera piemontese…io, che ero anche membro della Reale Società Agraria ed Economica, fondata dal vicerè Carlo Felice nel 1804, e nella quale si discuteva come migliorare e far rifiorire l’agricoltura sarda, acquistai questi terreni e feci istanza a S.M perpoterli chiudere e ottemperare alla legge. – Prima lei ha parlato di territorio…ora parla di terreni… – In verità erano tre appezzamenti attigui, tutti in agro del villaggio di Assemini, del Marchesato di Quirra, ai confini dei villaggi di Sestu e del Mas, e che si affacciavano ai salti di San Lorenzo e Pauli, ma divisi in tre dal rio Sesto, e dall’intersecarsi delle strade reali che portavano da Cagliari a Santo Sperato, da questo al Mas, e da Sestu al Mas. La somma delle tre estensioni che si intendevano chiudere corrispondevano a circa 160 starelli -Non erano pochi… – È vero…ma gli stessi periti mandati dal Censore diocesano di Cagliari, per conto del sovrano, il marchese don Francesco Maria Pilo Boyl di Putifigari, sostennero, e ricordo con precisione quanto scrissero, che tutti sono terreni di infima qualità, poco atti a seminerio, e perciò se ne coltiva ben poco, onde i primi padroni atteso il men utile, che ne ricavavano gli hanno alienati, e per la maggior parte non gli giudichiamo atti che alla piantagione degli alberi, cioè olivi, muroni, pioppi, olmi e bosco, e per coltivo d’erbaggi. – Così il re diede l’assenso… – E anche molto in fretta, se pensa che presentai l’stanza il 23 gennaio 1807 e il re pubblicò la sua carta reale di approvazione il 12 maggio – Andò tutto bene dunque… – Si, per conto del sovrano, ma non per il Marchese di Quirra, da cui acquistai i terreni, l’Eccellentissimo Senor Don Gilaberto Carroz y Centelles, y conde de Cervellon, maques de Villa Forcas e poi altro ancora, mi pare di ricordare altri dieci titoli, e ogni volta li elencava tutti…che barba…quanto sono prolissi e pedanti questi nobili, ma soprattutto venali e, mi scusi, miserabili… – Cosa combinò di tanto grave da scatenare la sua ira…per cui peraltro non ce ne voleva molto… – Non contento del fatto che io sottoscrissi un risarcimento annuo, all’atto dell’acquisto dei terreni, per gli introiti che gli sarebbero venuti a mancare per i diritti di pascolo e di seminerio che i pastori e i contadini di Sesto, del Mas, di Pauli Pirri, di Assemini, erano costretti a versare, mi intentò causa per anni accusandomi di aver privatizzato l’abbeveraggio nel rio Sesto e aver chiuso tratti di pascoli comunali, cosa che io non ho mai fatto, aizzando a volte i pastori e i contadini contro di me – Ora capisco il suo astio contro i feudatari… – Certo, noi non abbiamo mai vissuto di rendite e fitti a succhiare il sangue dei poveri, io pensavo di chiudere delle terre per avviarle a migliorie, volevamo diventare una sorta di nuova e ricca borghesia agraria… – Anche voi nobili minori, o acquisiti, avete a volte chiuso salti comunali, e succhiato il sangue dei poveri… – Forse…ma non è il mio caso, né quello della mia famiglia… – Mi dica, don Gabriele, lei si aggira da queste parti come un sopravvissuto… – Veramente è lei che mi ha cercato…dal momento che è entrato in questo luogo si è stabilito il contatto, perchè era lei che lo voleva…ed io l’ho seguita e mi sono presentato… – Non capisco.. – Noi sopravviviamo ogni volta che voi ci cercate… – Don Gabriele, cosa ne pensa dei mutamenti avvenuti in questo luogo? – Io vigilo, osservo… acciocché non sia stravolta la natura del luogo…e guardandomi attorno non so quanto possa durare…mi pare tuttavia che quello che c’è qui dentro, sia in continuità con quello che è stato…l’unico cruccio è il non poter sentire il correre e il ridere dei bambini tra queste fronde… – Don Gabriele, ora la devo salutare…sa anch’io ho il mio onore da difendere…devo cercarmi il padrino per l’appuntamento di domattina…e procurarmi la spada che trovo più signorile e leggera della sciabola, arma assai militaresca… – Lasci stare…osservandola ho arguito che non è roba per lei…e venga a trovarmi quando vuole…avrei ancora molte altre cosa da raccontare… – Addio, Don Gabriele (Riprendi dal I capitolo).

Tonino Sitzia

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