Il giorno 26 aprile nella sala della biblioteca di Elmas è stato presentato il libro di Giacomo Casti “Sardi, Italiani? Europei. Tredici conversazioni sulla Sardegna e le sue identità”
Buona la presenza di persone attente e vivo l’interesse per i temi trattati: molti infatti sono stati gli interventi.
Forse con una certa tendenza, che direi sul ‘politico-politico’, ma mai ‘partitica’, con venature ‘economicistiche’, vertente sul contingente. Ciò a scapito della ricchezza di saperi che percorre le conversazioni, dove la politica vi è presente, volando alta, nutrita di storia e di cultura…
Tanti sono stati i fili, diversi gli stimoli, gli intrecci; tante e varie le ‘urgenze’ del dire sulle questioni, a volte ardenti, che pertengono alla Sardegna, alle ‘cose’ sarde.
Così come il vaso di Pandora, una volta aperto, libera i venti in tutte le direzioni…
Ma Giacomo Casti con i suoi interventi ha teso sempre a riacchiappare i fili e, rispondendo, ha cercato di dipanarli.
Non c’è stato mai un calo di attenzione e vivo è stato l’interesse di chi ha posto domande e insieme argomentato il suo punto di vista.
Penso che ognuno se ne sia tornato a casa con la consapevolezza di più complessità, più ‘densità’ delle cose sarde oggetto di conversazione-discussione.
Avevo due domande per Giacomo Casti e ho rinunciato a formularle per ragioni di tempo e per consentire più interventi agli ospiti convenuti, così attenti e partecipi.
Ecco la prima domanda (anche un po’ retorica):
“Ma i Sardi chi sono, chi siamo? Sono sempre esistiti -unici e definiti- già all’inizio della nostra storia? Certo i Nuragici…
E i Fenici, allora, e i Punici, i Romani e poi gli Spagnoli e i Piemontesi passati, come nuvole, sulla Sardegna senza lasciare segno?
I Giudicati, in guerra tra loro, chiesero aiuto ai Pisani e ai Genovesi: si imparentarono pure con loro aprendo le loro famiglie all’elemento esterno, e così vasti territori dell’isola alla presenza di potenze straniere.
La seconda, più che una domanda diretta è una osservazione che contiene in sé delle domande o, comunque, suscita ulteriori considerazioni.
Ecco: “Gramsci è nato in Sardegna e l’esser Gramsci sardo è per noi un vanto.
Ma Gramsci è diventato grande (un gigante del pensiero) uscendo dall’Isola, approdando a Torino dov’era l’industria, in una Italia prevalentemente agricola, tra gli operai organizzando e lottando con loro; guardando alle grandi masse contadine del Mezzogiorno ed elaborando la “Questione meridionale”.
E fuori dalla Sardegna, come dirigente politico, ha maturato un’esperienza internazionale. E il suo pensiero -non disgiunto dall’azione politica- si è sviluppato e formato in quel contesto, in quella temperie.
Mi lascia perplesso l’affermazione secondo la quale Gramsci è diventato grande perché sardo: mi pare una cosa metafisica, la terra sarda avrebbe misteriose capacità magiche.
E si tende anche a dimenticare che Gramsci è stato comunista e che il suo pensiero era dentro quel filone marxista che lui ha sviluppato e arricchito.
Ossia l’analisi delle società occidentali complesse ed articolate -La metafora della guerra di posizione e quella di movimento, le casematte da conquistare, l’egemonia, ecc.; di conseguenza l’importanza e il compito degli intellettuali…”
Gabriele Soro