Quasi spinto dal dover rendere omaggio a Luis Sepùlveda, stroncato dal coronavirus il 16 aprile scorso, nel guazzabuglio di letture, articoli, telegiornali che scandiscono questi terribili giorni di forzata reclusione, tra i diversi libri dello scrittore cileno che ho nella mia libreria, ho riletto il suo “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”.
La prima edizione è del 1996. Sepùlveda è già uno scrittore famoso, non solo per la storia che si porta dentro, e che impregna la sua letteratura, ma per aver già pubblicato altri tre romanzi “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore”(1993), “Il mondo alla fine del mondo” (1994),”Un nome da torero” (1995).
La “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare” è una favola per bambini, scritta con la leggerezza e semplicità propria dei grandi scrittori, ed è noto come Italo Calvino nelle sue “Lezioni americane” (1988) annoverasse la Leggerezza come il primo dei valori che la letteratura dovesse conservare per il nuovo secolo che stava per arrivare.
In quel libro Calvino scrive “Prendete la vita con leggerezza. Che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore…La leggerezza per me si associa con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso. Paul Valéry ha detto: Il faut etre léger comme l’oiseau, et non comme la plume “Si deve essere leggeri come l’uccello che vola, e non come la piuma”.
Ecco il libro di Sepulveda, che come tutti i grandi libri per bambini, insegna soprattutto agli adulti (vedi “Pinocchio” di Collodi o “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry), è una storia di gabbiani che svolazzano leggeri nei cieli di Amburgo, sopra la foce dell’Elba. Il loro volo è interrotto da un dramma causato dall’uomo: Kengah, la “gabbiana dalle piume color d’argento”, a caccia di aringhe in quel lembo di mare, e mentre programma voli a più ampio raggio con i suoi simili fino al Golfo di Biscaglia e alle Canarie, piomba su una chiazza di petrolio, e, appesantita dal liquido oleoso, plana stremata su un balcone di Amburgo, dove incontra Zorba, un gatto nero che cerca invano di salvarla. Prima di morire Kengah si fa promettere dall’amico gatto che avrà cura dell’uovo che deporrà e della creatura che esso contiene. Da qui le alterne vicende di Zorba e della sua banda di gatti, Colonnello, Segretario, Bobulina, e in particolare Diderot, che vive e bazzica nel bazar di Harry, un vecchio lupo di mare che possiede un disordinato guazzabuglio di oggetti e una Enciclopedia(con chiaro riferimento all’Encyclopèdie francese che fu alla base dell’Illuminismo), che essi consulteranno più volte per allevare il nuovo pulcino, proteggerlo dai pericoli, e soprattutto insegnargli a volare.
Sarà “un umano” strano e stranulato, un “poeta che vola con le parole” e che picchietta con una macchina da scrivere, a far volare Fortunata, è questo il nome che era stato suggerito da Colonnello e approvato dalla cricca dei gatti.
Zorba, alla fine del racconto, quando ormai Fortunata si è lanciata nel suo primo volo, dialogando con l’umano: “Sull’orlo del baratro ha capito la cosa più importante”, “Ah sì? E cosa ha capito?” chiede il poeta “Che vola solo chi osa farlo”.
Breve Nota
In tutti i libri di Sepùlveda, per la cui biografia si rimanda a Wikipedia e a tanti siti che ne ricostruiscono le vicende umane, è presente seppure filtrata dalla finzione letteraria e come in controluce, la sua storia personale, che è anche quella del Cile e del Golpe militare del 1973. Militante comunista fin da giovanissimo, Sepùlveda, che faceva parte della guardia del corpo di Salvador Allende, era nel palazzo presidenziale della Moneda quando, l’11 settembre del 1973, fu bombardato dall’aviazione cilena su ordine del generale Pinochet e quando Allende si uccise pur di non cedere ai golpisti.
Sepùlveda subì la tortura, la perdita degli amici più cari, e l’esilio nel 1977, quando dopo due anni e mezzo di carcere, venne espulso dal suo paese. Lo scrittore cileno non ha mai odiato, né portato rancore, ma nei suoi libri compaiono gli ideali che sono esattamente l’opposto di quelli dei suoi torturatori e dei fascisti di Pinochet e di tutte le dittature: anelito alla giustizia sociale, solidarietà e diritti umani, uguaglianza e democrazia, difesa degli ultimi e dei diversi, sensibilità ambientale e diritti per chi abita e vive la terra.
Nel libro recensito molti di questi ideali compaiono perché come dice Zorba, il gatto nero della Gabbianella, Sepùlveda “ha conosciuto il baratro” e aveva capito le cose importanti.
Luis Sepùlveda è morto il 16 aprile. Le sue ceneri saranno riportate in Cile dalla moglie Carmen Yanez e dai suoi figli e poi disperse nella sua amata Patagonia, alla fine del mondo.
Poesia dedicata a Luis Sepùlveda
Cuando se muere la carne
el alma busca su sitio…
Quando muore la carne
l’anima cerca un posto,
così recitava la Violeta
donna, musicista e poeta,
e tu l’amavi come le rose d’Atacama,
colorate e forti come la trama
aspra di montagne e vulcani
su cui Mapuche e Araucani
disegnarono di sangue sentieri
e per la madre tierra fieri
amarono, lottarono e morirono
poi di nuovo ricominciarono
allora come oggi per un destino
migliore ricco di nuovo umanesimo.
Che lieve l’Oceano culli le tue ceneri
Mentre nei libri volano i tuoi pensieri
Tonino Sitzia
Grazie, Tonino e Gabriele, per le vostre riflessioni, profonde e ricche di poesia; riflessioni ed emozioni che mi riportano indietro nel tempo, alla solidarietà e agli aiuti che gli Italiani diedero alle vittime del Golpe.
Mi unisco a voi nel ricordo.
Buon viaggio Luis “Lucho” Sepulveda, scrittore-poeta combattente la cui morte, in questi giorni tragici per l’intero pianeta, non ha avuto, purtroppo, il giusto risalto. Non è morto soltanto uno degli autori latinoamericani più letti e più amati, è morto un uomo errante, un viaggiatore, un uomo che ha lottato per valori fondamentali come la libertà, l’uguaglianza, i diritti civili. E’ morto un uomo ecologista, schierato contro tutte le dittature, un apolide per oltre trent’anni, un uomo schierato sempre dalla parte dei più deboli e dei dimenticati. E’ morto un uomo che è stato vittima di indicibili torture e che ha scelto la letteratura “per dare voce a chi non ha voce”.
Mi piace riportare alcuni versi della poesia “Silenzio”, scritta dalla sua amatissima moglie, la poetessa Carmen Yanez.
“Quando si negano le parole
e non danza il verbo
sul polline della terra,
questo è il silenzio”
Essendo “Storia di una gabbianella e del gatto che le imparò a volare”, un libro per bambini e per adulti (forse ancor di più per loro), c’era bisogno proprio di questa recensione, in questi giorni tristi per la morte di Luis Sepùlveda e dunque per rendere omaggio all’uomo e allo scrittore.
In chi – da internazionalista come si diceva e si era allora a sinistra – ha vissuto da qui e seguito l’esperienza socialista del Cile di Allende, australe e lontano, ma vicino per affinità di scelte politiche, per ideali, ancora oggi in fondo al suo cuore batte il ritmo di poesie e di musiche che accompagnarono quelle vicende, infine conclusesi tragicamente.
Quei ritmi, quei suoni ( gli Inti Illimani, Violeta Parra…- le alture andine ) tutt’uno con i popoli indio e con la maestosità della cordigliera e dell’oceano.
Nella tua poesia mi sembra di avvertire quei ritmi, le tensioni, il fervore di allora, quella narrazione esaltante. Una sorta di epopea latino-americana – ecco il Che con il suo tentativo di appiccare un grande incendio rivoluzionario a partire dal fuocherello mai assopito nel cuore delle genti indie; ecco Allende per altre vie…( Ma lo zio Tom scuote il capo ).
Parole: ATACAMA, MAPUCHE, ARAUCANI e altre di quelle geografie – CHILOE’, VALPARAISO, VIGNA DEL MAR. Vedi, parole che sono già solo loro poesia.