Ancora un’intervista
“L’illusione dell’uguaglianza”, bella e interessante intervista a cura di Stefano Montefiori, corrispondente a Parigi, a due autori francesi – Edouard Louis, scrittore, nato nel 1992 e Didier Eribon, filosofo e sociologo, nato nel 1953 – apparsa su “La lettura” di domenica 3 maggio. Leggendo ne ho sottolineato con la penna quei passi che mi sono parsi più importanti, e a margine vi ho annotato delle schematiche riflessioni.
Così vengono presentati gli intervistati: “…il loro sguardo da sempre critico sulla realtà. Cresciuti in ambienti popolari di provincia (Amiens, Reims), nei loro libri hanno raccontato in modo straordinario il comune destino di transfughi di classe, […] le origini e il rappresentare – con il loro percorso intellettuale – l’eccezione che conferma la regola di una società ingiusta, votata a riprodurre all’infinito antiche disuguaglianze e ripartizioni di ruoli”.
Prima riflessione: come si riproduce una società ingiusta? Chi la riproduce? La riproduce un sistema economico-sociale con uno specifico modo di produzione e di mercato, oggi condizionato dalla Finanza mondiale, dalle Multinazionali, dagli Stati Uniti. Penso alla Banca Mondiale, al FMI, alle Agenzie e Corporazioni collegate ( e a tanti altri – il Potere è concentrato e articolato in una rete mondiale). Da questo Sistema dipendono investimenti, sviluppo, leggi, diritti, costumi, ideologie, condizionamenti politici. La democrazia ne soffre, è condizionata e ripiegata: è quella compatibile con questo potere.
“Che cosa non va negli appelli all’unità nazionale?” – Edouard Louis: “L’idea che si debba costituire un unico popolo, una comunità, l’essere tutti insieme, storicamente è un discorso reazionario, contro i valori della sinistra e i progressi sociali. Ignora le differenze…” Nota a margine: si fa ricorso al popolo, un tutto generico e indistinto. Niente classi, niente ceti, si rimuovono le condizioni materiali. Siamo tutti sulla stessa barca. E invece no, c’è chi sta sui panfili e chi nelle zattere.
Edouard Louis: “L’espressione siamo in guerra , evoca più o meno consapevolmente quei momenti storici in cui le guerre non erano metaforiche, e si chiedeva la sospensione di tutte le opposizioni: tra destra e sinistra, tra dominanti e dominati, tra oppressori e oppressi, in nome dell’appartenenza al popolo unito contro il nemico”. Importante ribadire che no, non è una guerra. Si ha a che fare con una pandemia: il nemico è un virus, organismo invisibile. Siamo in guerra e allora lasciamo fare ai generali – capito?
Didier Eribon: “L’epidemia non colpisce allo stesso modo tutte le categorie della popolazione […] c’è un dato nascosto nelle cifre del Covid-19: è l’aumento della mortalità tra i poveri […] il sistema sanitario americano appare qui come il più orribile di tutti”. La nota che riporto a margine è una fulminante sintesi della sociologa americana Rachel Sherman: “ Negli Stati Uniti, la convinzione di vivere in una società di uguali è profonda tanto quanto l’abisso tra ricchi e poveri”.
“La crisi attuale rilancerà i contrasti sociali?” – Didier Eribon: “Possiamo chiamarla la nuova lotta di classe, se vogliamo. […] Oggi la riuscita sociale appartiene ai figli della borghesia, perché il successo, tranne eccezioni, non è individuale ma rappresenta la riproduzione di posizioni di classe. […] Ecco perché parlare di disuguaglianze non è sufficiente: diventa persino un modo di mascherare la realtà, che è dominazione di classe e sfruttamento capitalistico”. Scrivo a margine: ma con quali forze, come organizzate, come ‘mobilitate’, con quali alleanze. Una minoranza al potere – in ogni stato singolo e nell’intero globo – ottiene il consenso della maggioranza sottomessa: da qui la questione dell’egemonia, intesa gramscianamente.
“Come affrontare la letteratura?” – Edouard Louis : “[…] Vale la posizione di Annie Ernaux o Patrick Chamoiseau, che è anche la mia: non amo la letteratura di chi si guarda l’ombelico, i romanzi della vita intima, psicologici, sconnessi dal resto del mondo e da una visione sociale più ampia. […] certi diari della quarantena […] Non mi sogno di censurare nessuno. […] Mi limito a esprimere la preferenza per una letteratura impegnata”. Osservo: molto d’accordo, soprattutto circa il guardarsi l’ombelico, e sui diari intimistici della quarantena. Tuttavia avanzo qualche considerazione. Un autore, per esempio poniamo, socialmente (se si vuole anche politicamente) conservatore, o anche reazionario, potrebbe lavorare nella sua attività di scrittore ad un processo di ricerca progressivo, di profondo cambiamento della letteratura. In sintesi: innovatore progressista in ambito letterario, conservatore nella società – non molto probabile, ma possibile. Viceversa, uno scrittore, fortemente impegnato nelle lotte sociali, potrebbe produrre una letteratura mediocre, che non lascia traccia. Marcel Proust autore di “Alla ricerca del tempo perduto” – impegnato, non impegnato? E come valutare la poesia di Ezra Pound? O quel criterio vale soltanto per la prosa, o solo per la prosa non troppo lontana negli anni?
Con questi interrogativi metto fine al mio gioco di lettura, sottolineatura e note a margine.
Le diseguaglianze sono il frutto strutturale del capitalismo, questo lo hanno detto tutti i teorici del marxismo: laddove c’è accumulo di capitale c’è accumulo di povertà. La povertà non è solo uno scandalo morale, che pure fa muovere le coscienze, e spinge alla carità e al filantropismo, nelle varie forme volontaristiche di stampo religioso o laico, ma non risolve il problema che è di natura essenzialmente economica: “Ricco è chi ha bisogno dell’umanità dell’altro, chi nella povertà avverte quel vincolo passivo che «fa sentire all’uomo il bisogno della ricchezza più grande, dell’altro uomo” (Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844).
In una società complessa però l’umanità dell’altro si misura, oltre che dalla dignità di un lavoro per tutti, cioè dal soddisfacimento dei bisogni materiali della sussistenza, dall’accesso universalistico alla istruzione, alla sanità, alla libertà personale, alla partecipazione, al rispetto della dignità, alla condivisione dei beni pubblici. (Vedi Amartya Sen)
A questi temi sono da aggiungere, nella contemporaneità, quelli cruciali dell’Ambiente, che hanno mobilitato moltitudini di giovani in tutto il mondo, e dell’uso, accesso e controllo delle tecnologie digitali.
Sono problemi che hanno a che fare con l’egemonia, con la capacità delle forze, per ora minoritarie, antagoniste all’attuale sistema, di prefigurare un nuovo ordine mondiale.
Il dramma del Coronavirus accelererà il disfacimento delle società neoliberali?
Philippe Kourilsky, biologo, genetista e immunologo, ex direttore dell’Istituto Pasteur di Parigi, in un’intervista nello stesso numero de “La lettura” citato da Gabriele Soro, è molto scettico. Alla domanda “Il virus è democratico?” Lui risponde “Mica tanto, colpisce gli anziani e gli abitanti delle zone più a rischio emarginazione. Speriamo che almeno costringa i governi a rivedere il sistema sanitario; il resto sarà molto duro. Perdiamo posti di lavoro,e risorse finanziarie, le diseguaglianze aumentano, l’impatto sul sistema educativo sarà devastante,i poveri saranno i più danneggiati dall’aver perso tanti mesi di scuola”