Il libro “Un’ora e mezzo per cambiare il mondo” è stato scritto da un divulgatore scientifico, Mario Tozzi, geologo, e da Lorenzo Baglioni. Gli autori mettono in evidenza l’importanza di una informazione scientificamente valida e il contributo che ognuno di noi può dare, e subito, per combattere il riscaldamento globale, contrastando “egoismo, ignoranza e malafede” di chi si accoda alle tesi negazioniste sui cambiamenti climatici. Gli argomenti vengono presentati in modo semplice, ma senza mancare di rigore, e in modo perfino divertente.
Tempi geologici. Perché “un’ora e mezzo”? Ci viene difficile ragionare su una scala di tempi geologici. L’Homo Sapiens è comparso sulla terra nel periodo interglaciale, circa 300 mila anni fa. Pertanto gli autori hanno deciso di scalare i 300 mila anni a unanno. In questo intero anno il tempo che resterebbe per salvare l’Homo Sapiens, e l’ambiente nel quale vive, viene calcolato in un’ora e mezza. Ovvero un tempo brevissimo da quando ci siamo affacciati su questo pianeta.
Il cambiamento climatico. La percezione dei tempi geologici per l’Homo Sapiens è scarsa se non totalmente assente: «i Sapiens non si accorgono del clima che cambia» anzitutto perché «il clima non si vede: è qualcosa che non si tocca, non ha colore né sapore… non si percepisce nonostante i suoi effetti sugli eventi meteorologici siano sotto gli occhi di tutti» (trombe d’aria, alluvioni, frane, ondate di calore fuori stagione ed altri eventi estremi come ad esempio la tempesta Vaia che nell’ottobre 2019 ha abbattuto o sradicato 13 milioni di alberi tra Veneto e Trentino). Gli strati di ghiaccio polari o perenni si sciolgono alla velocità con cui cresce il surriscaldamento della Terra negli ultimi anni, e «nel 2030 non ci sarà più un Polo Nord ghiacciato durante la stagione estiva». Nonostante la veridicità di vari esempi riportati nel testo, l’homo Sapiens fa tanta resistenza ad accettare che il futuro ambientale del Globo possa rivelarsi così buio e preoccupante. In genere si tende a minimizzare. Siamo infatti limitati dalla nostra visione temporale, in fin dei conti la permanenza di ciascuno sul pianeta dura meno di 100 anni, niente in confronto con le ere geologiche. Il pensiero dominante si può riassumere con un sereno: «Vabbè, il clima cambierà pure… ma mica domani, no?». L’Homo Sapiens trascura il cambiamento climatico perché è sempre preso dalla logica del guadagno rapido e dal suo egoismo e arriva, per ricavare più legna, a tagliare il ramo dell’albero sul quale è seduto a cavalcioni. Come esempio di questo comportamento viene citata la “sindrome dell’Isola di Pasqua”. In quest’isola il popolo ha consumato totalmente le risorse dell’ambiente nel quale viveva, a ritmi per cui era impossibile che si ricostituisse, arrivando così alla sua estinzione.
Tempi geologici. Il riscaldamento globale spingerà i più giovani, probabilmente i nostri pronipoti, a dover migrare alla ricerca di terre coltivabili più in alto e milioni di persone, anche in Italia, potrebbero essere costrette ad abbandonare le città in pianura dove le temperature medie estive raggiungerebbero valori insopportabili. Quando le temperature si innalzano, tipicamente 25 gradi centigradi stabili di notte e 35 di giorno, con umidità intorno al 90%, come accade attualmente in alcune aree del Medioriente e dell’Asia, il corpo umano non riesce a compensare adeguatamente. In questo scenario estremo, le zone di clima a scarsa vivibilità si amplierebbero sempre più. Le migrazioni causate dai cambiamenti climatici sono già una realtà in molte parti del mondo: centinaia di migliaia di persone premono per attraversare il Mediterraneo e raggiungere i ricchi Paesi del Nord Europa, e dal Sudamerica puntano ai paesi come Usa e Canada. Questi non fuggono soltanto da guerre e ingiustizie, ma anche dalle crisi economiche scatenate dai mutamenti del clima. L’ONU fa osservare che a breve (si stima entro il 2050), i profughi climatici saranno circa 240 milioni. Nel libro si riporta che «Il surriscaldamento atmosferico sta trasformando le regioni circumdesertiche in inferni in cui non è più possibile utilizzare la terra per gli scopi dell’uomo».
Notizie false e privilegi. Il motivo più importante per cui rifiutiamo di prendere coscienza del cambiamento climatico è la paura che questa consapevolezza comporti un cambiamento del nostro stile di vita, da opulenti occidentali e da perfetti egoisti, che ci costringerebbe alla perdita di benessere, comodità e privilegi della nostra vita: «Mica dovrò rinunciare alla macchina? Non potrò più mangiare carne? Torneremo alle fiaccole e al Medioevo?». Oltre alle nostre paure sulla capacità di comprendere e accettare l’idea del riscaldamento globale antropogenico, pesano molto le notizie diffuse dai mezzi di informazione in tutto il mondo: spesso notizie false seppur verosimili, o fake news che circolano sul web, ma non solo.
Negazionisti. Un geologo statunitense, James L. Powell, tra il 1991 e il 2012, ha raccolto e studiato le pubblicazioni scientifiche sul tema del cambiamento climatico: 13.974 articoli pubblicati dopo attenta revisione di esperti e comitati scientifici. Tra questi testi, solo 24, ovvero lo 0,17%!!, negavano che il cambiamento climatico fosse reale e documentato. Una percentuale talmente irrisoria che dovrebbe essere irrilevante nel dibattito. Eppure, paradossalmente, sui mezzi di comunicazione sentiamo spesso parlare di “catastrofisti” contro “ottimisti” e nei dibattiti televisivi viene in genere invitato un catastrofista e un negazionista. Il racconto è solo apparentemente bilanciato e invita a “pensare che le due posizioni abbiano lo stesso peso, mentre non c’è niente di più falso!”.
Deforestazione e allevamenti. Una delle principali cause del riscaldamento globale è determinato dall’aumento della concentrazione dei gas serra (principalmente anidride carbonica, CO2) nell’atmosfera. Occorre ricordare che la CO2 è indispensabile per la vita sulla Terra e la sua presenza nell’atmosfera è responsabile dell’effetto serra. Se non ci fosse un “effetto serra naturale”, la vita sulla Terra non esisterebbe. La quantità di CO2 nell’atmosfera è rimasta costante per milioni di anni. La radiazione solare arriva sulla Terra e riscalda il pianeta. Questo calore viene in parte inviato in atmosfera, incontra la CO2, che, a sua volta, lo rimanda sul pianeta. Un aumento della concentrazione di queste molecole causa tuttavia un ulteriore incremento della temperatura sul pianeta, fino a portarla a valori estremi. Dati recenti dimostrano che, accanto al gas serra “naturale”, c’è quello che viene rilasciato dall’uomo con le attività che producono energia (25%), con la deforestazione, con passaggio ad agricoltura e allevamento intensivo (24%), con le attività industriali (21%) e il traffico di automobili a altri veicoli (solo il 14%). Riassumendo: «pesa più una bistecca che l’uso dell’auto per forzare la mano al clima e modificarlo come stiamo facendo».
Stile di vita. Che fare quindi? «Il minimo che possiamo fare è cambiare il nostro modo di stare al mondo, assumendo uno stile di vita sostenibile». Per ridurre le emissioni che contribuiscono ad alterare il clima occorrerà: utilizzare fonti rinnovabili per la produzione dell’energia; promuovere politiche economiche che premino i cittadini virtuosi; piantare migliaia di miliardi di alberi, che solo fra alcune decine di anni cattureranno considerevoli quantità di CO2, Mentre, a livello personale, potremmo trasformare la nostra casa, isolandola da un punto di vista termico, e/o producendo energia rinnovabile e pulita; privilegiare il trasporto pubblico; o addirittura rinunciare all’auto (anche solo una volta a settimana); andare in bicicletta; usare il meno possibile l’aereo per i viaggi; e, infine, modificare la nostra dieta. Se riuscissimo a diminuire drasticamente il consumo di carne eviteremmo di immettere nell’atmosfera fino a 820 kg di anidride carbonica pro capite all’anno, determinando una riduzione del numero di allevamenti intensivi. Si tratta di piccoli passi, ma decisamente importanti.
Grazie per la recensione di questo libro col quale Mario Tozzi, ancora una volta, ci apre gli occhi invitandoci ad agire con rapidità a favore dell’ambiente. Quello che sta accadendo in Canada, con temperature vicine ai 50 gradi o nella Russia artica con temperature vicine ai 40, dovrebbe farci comprendere che qualcosa di anomalo sta accadendo e che siamo molto in ritardo nel contenimento delle emissioni di gas serra. La modificazione del clima é allarmante con conseguenze importanti che incideranno su tutto il pianeta sia dal punto di vista economico che sociale. Ho letto nei giorni scorsi un articolo nel quale venivano analizzati i dati relativi all’inquinamento digitale. Internet é stata sicuramente un’invenzione meravigliosa ma il suo impatto ambientale é notevole. Secondo lo studio del Global Carbon Project, se Internet fosse uno stato sarebbe il quarto al mondo per emissioni. Infatti i dispositivi che fanno funzionare Internet consumano energia elettrica e se questa non proviene da fonti rinnovabili, produce emissioni di gas serra.
Con l’utilizzo dello streaming, della DAD, del lavoro da casa, si é avuto un aumento vertiginoso dei consumi ed é un problema anche il numero altissimo di dispositivi elettronici che vengono usati ogni giorno. Secondo lo studio, un’ora di videochiamata genera 170 grammi di anidride carbonica, un tweet 0,2 gr., una mail dai 4 ai 50 gr. e così via…
C’è da riflettere! Internet non é poi così innocuo ed ecologico come la maggior parte di noi può pensare. E’ indispensabile essere sobri dal punto di vista ambientale ma dobbiamo imparare ad esserlo anche dal punto di vista digitale.