In questi giorni di guerra e di violenze ho sentito il bisogno, frastornato dalle notizie e dai commenti, di andare ancora alle pagine dei “Quaderni del carcere” di Antonio Gramsci. Dense e preziose considerazioni si trovano su “Appunti di filosofia”, dove Gramsci si pone la domanda prima e principale della filosofia:
“che cosa è l’uomo”?
Trovare la risposta nell’uomo stesso? Si chiede Gramsci. Ma prosegue “ in ogni singolo uomo si può trovare che cosa è ogni singolo uomo, che poi significa che cosa è ogni singolo uomo in ogni singolo momento”. Non se ne viene a capo. Ciò che interessa è: “che cosa l’uomo può diventare, come può farsi, come può crearsi una vita”. Dunque, “l’uomo è un processo e precisamente è il processo dei suoi atti”. Da qui l’identità individuale e collettiva sempre in divenire.
Sulla violenza, sul male.
Gramsci osserva che il cattolicesimo (questa religione) pone la causa del male nell’uomo stesso; concepisce l’uomo come individuo ben definito e limitato nella sua individualità e lo spirito come tale individualità.
“Occorre concepire invece l’uomo come una serie di rapporti attivi (un processo) in cui se l’individuo ha la sua massima importanza, non è però il solo elemento da considerare”. Prende in considerazione tre elementi: 1) l’individuo; 2) gli altri uomini; 3) la natura. Il rapporto con gli altri uomini è visto in modo organico, attivo entro organismi dai più semplici ai più complessi. Anche il rapporto con la natura ha carattere attivo e si esplica tramite il lavoro e la tecnica. Questi rapporti sono attivi e coscienti.
Ognuno cambia sé stesso, si modifica, nella misura in cui cambia e modifica tutto il complesso dei rapporti. Ecco, Gramsci ci sta parlando dell’agire politico e della sua primaria importanza. Un percorso: dalla filosofia alla politica; dalla cultura alla politica.
La guerra.
Quanto detto sopra porta a rimettere con i piedi per terra le questioni attinenti l’uomo in rapporto alla guerra, alla violenza. Se vogliamo considerare la supremazia maschile occorre dire che essa non è un fatto di natura.
Freud fece una scoperta molto importante: la situazione edipica, “il complesso di Edipo”, ma scambiò la causa con l’effetto. La causa della guerra non è il complesso di Edipo, ma è la guerra la causa del complesso di Edipo. Altrimenti non ci sarebbe speranza: l’anatomia determinerebbe il nostro destino. Tutto colpa del testosterone!
È la pratica della guerra a determinare l’aggressività e non viceversa. E la guerra, in ultima istanza, al fondo, ha cause economico-sociali: l’accaparramento di risorse energetiche, la ricerca e l’espandersi dei mercati, il controllo strategico di aree geografiche e delle vie del traffico; pressioni demografico-ecologiche.
Al di là di malsane pulsioni psichiche e di ideologie come il nazionalismo sovrastruttura moltiplicatrice di aggressione e violenza.
Credo anche che abbia, stando così le cose, a che fare con l’inevitabilità della guerra quanto scrive David Harvey in “La guerra perpetua”. Ecco un passo:
“Logica espansionistica di un sistema capitalistico in cui dominano l’accumulazione senza fine di capitale e l’incessante ricerca del profitto […] Il capitalismo cerca perpetuamente di creare un panorama geografico che faciliti le sue attività in un dato momento solo per distruggerlo e trovarvi poi a dover costruire un panorama del tutto diverso in un momento successivo per soddisfare la perpetua sete di accumulazione di capitale. Questa è la storia della distruzione creativa iscritta nel panorama dell’attuale geografia storica dell’accumulazione di capitale”.
Credo che sia proprio così. E l’”Occidente”(euro-atlantico) però non si assolva, mentre nello specifico, giustamente, condanna questa guerra di aggressione russa all’Ucraina. Guerra in corso con tutto l’orrore che vieppiù ne consegue.