Il cognome di Fabrizio Barca evoca tempi andati, per chi negli anni di tra il 1970 e il 1980, militava nel PCI e ne condivideva orizzonti e prospettive. Figlio di Luciano Barca, dirigente comunista molto vicino a Enrico Berlinguer, intende voler riprendere quelle idee in chiave contemporanea, esprimendo la necessità, in questo libro come in altri interventi, di superare il modello neoliberale, ormai affermatosi come pensiero unico a livello mondiale. Ragionando sui limiti della feconda stagione della socialdemocrazia, Barca ritiene che si possa costruire un nuovo soggetto politico di sinistra radicale e moderno che, facendo leva sul meglio del pensiero politico del Novecento, abbia una visione strategica per affrontare gli enormi problemi della contemporaneità.
Manca, a suo avviso, quel soggetto. Anzi, la pandemia, la crisi economica e sociale, la crisi climatica, la digitalizzazione dei processi produttivi, ha indebolito fortemente i partiti e allontanato i cittadini dalla partecipazione, nell’illusione che i tecnocrati e gli autocrati possano essere l’antidoto alla crisi.
Il libro, snello e denso, affronta il tema delle diseguaglianze, attraverso una serie di domande articolate che Fulvio Lorefice (ricercatore in Storia dell’età contemporanea presso l’Università di Bologna), pone a Barca, tra i fondatori del ForumDD (Forum Diseguaglianze e Diversità), una ricca rete di associazioni che si muovono nel territorio, di ricercatori, studiosi, organizzazioni di cittadinanza e del lavoro, operatori della scuola, che già prefigurano modalità e azioni di un nuovo soggetto di cui si è fatto cenno all’inizio di questa recensione.
Mi limiterò a semplificare alcune delle molte domande che Lorefice pone a Barca e relative risposte, sperando di suscitare in chi legge la curiosità della lettura del libro. La prima riguarda la presunta ineluttabilità delle diseguaglianze. Rifacendosi alle teorie dell’economista inglese Anthony Atkinson (“Diseguaglianza. Che cosa si può fare?” – Raffaello Cortina Editore ”), e maestro di Thomas Piketty (“Il capitale nel XXI secolo”- Bompiani Editore), secondo cui le diseguaglianze non sono un destino ineluttabile, ma una “scelta”, Barca condivide il fatto che se le diseguaglianze sono degenerate, ciò è avvenuto per scelte politiche, che hanno eroso il potere del lavoro, hanno assecondato e amplificato un radicale cambiamento del senso comune, hanno realizzato interventi pubblici segnati da un ruolo succube dello Stato, e che dunque questi meccanismi vanno presi di petto.
Interessante il richiamo al “senso comune”, uno dei cardini del pensiero gramsciano. Gramsci (Quaderno 24, 1934): “Il senso comune non è qualcosa di irrigidito e di immobile, ma si trasforma continuamente, arricchendosi di nozioni scientifiche e di opinioni filosofiche entrate nel costume. Il ‘senso comune’ è il folclore della filosofia e sta sempre di mezzo tra il folclore vero e proprio (cioè come è comunemente inteso) e la filosofia, la scienza, l’economia degli scienziati». Dunque se il senso comune si cristallizza diventa pregiudizio che frena qualsiasi idea di cambiamento, diventa cultura diffusa. Nel libro si fanno diversi esempi di idee che si sono fatte senso comune: “Ciò che è pubblico, è peggiore di ciò che è privato; il merito, è provato dal patrimonio accumulato; obiettivo unico dell’impresa, è massimizzare il valore corrente degli azionisti; povertà, è una colpa o una forma di furbizia sociale; libertà, è lasciare un ospedale, una scuola, un quartiere, una città quando non funziona”.
Un’altra idea che si è fatta strada, sottolinea Lorefice, anche in gran parte della sinistra, è quella che il conflitto capitale – lavoro sia un anticaglia del vituperato Novecento, rifacendosi a quanto sosteneva Marx, per il quale tale conflitto, viceversa, ha una funzione fondamentale: quella di nesso strutturante le contraddizioni relative ad ambiente, cultura, genere, nazionalità, religione, richiamando una domanda che era stata posta a suo tempo (2015) da Luciano Gallino: “Se la politica la fa il capitale, come si può fare politica per opporsi al capitale?” Barca risponde che, secondo lui, si è realizzata, fino a farsi senso comune, l’idea che il neoliberismo realizzi una parte del libertarismo degli anni sessanta. Da qui alcune conquiste della socialdemocrazia nordica, l’attenzione ai diritti della persona, il welfare, l’interrogarsi dei leader di quella stagione, Palme, Brandt, Kreisky, che non trovarono le risposte, perché, oltre alla subalternità di classe nel lavoro, nuove subalternità si sono aggiunte, e sono ben presenti oggi più che mai.
Un provocatorio libro di Angela Davis, citato nel libro, aveva come titolo “Donne, razza, classe”. Oggi a quelle tre subalternità citate se ne è aggiunta un’altra, quella ambientale, segnata dalla necessità, sempre più evidente di passare dall’antropocentrismo all’ecocentrismo. Dunque le quattro subalternità su cui confrontarsi sono: classe, genere, razza, ambiente. Questi veri fronti dell’azione politica sono interrelati e la debolezza e la crisi di rappresentanza della sinistra è dovuta al fatto essi sono stati affrontati separatamente, senza convinzione e senza una visione d’insieme.
Il libro si chiude con una riflessione sulla spinosa, e purtroppo attualissima, questione della guerra.
Qui il dibattito è ancora aperto e lacera le coscienze. Certo “L’interventismo umanitario”, ha la sua profonda ambiguità, e della moralità della guerra è lastricata la storia, che ha preso forma, fino a diventare senso comune, di diritto naturale, cristianità, missione civilizzatrice, esportazione della democrazia, ecc…fino all’ultima frettolosa fuga dall’Afghanistan della coalizione Nato a guida statunitense.
Che fare? Appurato che “democrazia, diritti umani e liberazione dalle subalternità non si esportano con la guerra (Barca, pag.184), e ricordando le parole di Gino Strada “Finché c’è guerra non ha senso parlare di diritti umani”, alcuni principi paiono ormai acquisiti, e su cui agire: 1° ogni avanzamento, in tutte le latitudini, deve partire da movimenti endogeni e secondo il principio di autodeterminazione; 2° cooperazione e nuovo internazionalismo: supportare in misura crescente tutte quelle organizzazioni di base e movimenti che agiscono in diverse parti del mondo; 3° ridurre gli armamenti e orientare quelle risorse in ricerca, istruzione, conoscenza, modificando gli accordi internazionali (vedi Accordo Trips).
Tonino Sitzia
Puntuale e ben articolata recensione.
Il cognome Barca di Fabrizio Barca evoca tempi andati. Vero, Tonino, noi abbiamo l’età che ci ha fatto incontrare i Barca e i Dalema padri (ricordo questi due) venuti in Sardegna per convegni, congressi e altre iniziative politiche.
“Che fare?” Se il “che fare?” sono i tre punti indicati a conclusione da Barca, allora siamo proprio messi male. “Democrazia, diritti umani e liberazione dalle subalternità non si esportano con la guerra” (Barca, pag. 184). Ma c’era bisogno dell’esperienza terribile delle più recenti guerre USA in Asia per capire questo? Come può un Paese come gli Stati Uniti, dove le diseguaglianze sono così marcate e la povertà è colpa sociale grave (motivo di discriminazione e isolamento) di chi ne è colpito e disprezzato, portare alla liberazione d’altri popoli? È proprio l’attuale sistema e ordine capitalistico mondiale a determinare diseguaglianze intollerabili tra popolazioni e tra Stati.
Il punto 1°. Debole e vago. I movimenti, inevitabilmente, percorrono le loro parabole, poco investendo le “casematte del potere”. Potere strutturato e articolato. I movimenti a volte contradditori e troppo interclassisti. Guai comunque se non ci fossero almeno loro. Certo i partiti oggi o sono in grande crisi o sono proprio scomparsi. Ma avremo bisogno di quei partiti (o di ciò in cui evolveranno) che intervengano negli inevitabili conflitti sociali e traducano in politica malcontento e aspirazioni di riscatto, di libertà e di piena ed effettiva democrazia.
Punto 2°. Ancora movimenti, principi e auspici.
Punto 3°. Come non essere d’accordo? Intanto però in tutto il mondo – mentre si scivola verso un soffocamento ecologico del Pianeta – è in corso un generale incremento degli armamenti.