Faticano le parole
e fratti sono i versi
come questi muri
anneriti e scheletrici,
occhi vuoti
da cui escono fantasmi,
nel vermiglio delle ferite,
le coltri pietose
a coprire corpi,
e alla rinfusa sui selciati
orsetti e bambole monche,
e anziani smarriti
in queste frontiere
già segnate da storie
che si ripetono
e il fumo nero e denso
all’orizzonte e frecce luminose
nelle notti delle guerre.
Si muovono i tank
come zombi ferrosi,
e già li abbiamo visti
in epoche non lontane
sputare le loro sentenze di fuoco.
Si allungano come rosari
le file dei profughi,
già le abbiamo viste
le fosse comuni
da cui riesumare corpi,
e nomi e cognomi
a riannodare storie
nelle terre dove l’uomo
operoso ritorna,
e nella terra dove imbiondisce
il grano e il girasole.
Li abbiamo visti,
i visi imberbi e feroci,
con occhi di ghiaccio
eseguire gli ordini di Marte,
e visi rugosi con occhi di fuoco
scavare trincee di nere mani,
mentre sullo sfondo
scorrono in processione
i Cesari di tutti i tempi,
le mostrine e le cravatte,
le bianche mani
A tirare le fila…
Tonino Sitzia
Non è facile scrivere versi sulla guerra. Con la poesia ci si approssima al canto e, certo, facile non è “cantare” la guerra. Soprattutto le guerre d’oggi, dove scompaiono gli eroi e le “gesta” sono crimini efferati e abietti. Così è per questa guerra in atto che subisce l’Ucraina.
Ma Tonino, però, spinto da una esigenza forte di denuncia e di ripulsa, ha scritto “Già visti” poesia che comincia così: “Faticano le parole/ e fratti sono i versi”. E continua rendendoci la visione dei campi di battaglia e di morte. E l’andare ritmico spezzato dei versi ben si addice all’orrore e allo strazio dei corpi…