Il bel racconto di Tonino Sitzia, in memoria dei caduti di Elmas, è stato letto in occasione della commemorazione del 4 novembre giornata dell’Unità nazionale e delle Forze armate.
Senza tralasciare la pietà per i morti, tutti in generale, della Grande guerra e del secondo conflitto mondiale, e in particolare per questi nostri concittadini, Tonino Sitzia, in modo preciso e documentato, finge che alcuni di questi, ora incisi nella lapide, parlino evitando la ricorrente e fastidiosa retorica patriottarda.
Nella stessa lapide si legge: S’IMMOLARONO ALLA PATRIA NELLA GRANDE GUERRA E ALLA LORO MEMORIA I CONCITTADINI RICONOSCENTI QUESTO RICORDO DEDICARONO NOVEMBRE 1933 A XII.
“S’immolarono per la patria…” “Piuttosto” prosegue il racconto “fummo in tanti come si può vedere nei monumenti ai caduti presenti in tutti i paesi della Sardegna, andammo a combattere e morire per senso del dovere verso uno stato ancora giovane che non conoscevamo se non per le gabelle, le tasse e la coscrizione militare. Eravamo, per gran parte, contadini analfabeti e onesti, ciascuno di noi ha la sua storia individuale, meritevole di essere conosciuta”.
Il racconto, ora pubblicato nel sito di Equilibri, è preceduto da (scelta opportuna) una poesia di Giuseppe Ungaretti.
Tra le mie letture, ripetute e saltellanti, da un quaderno all’altro dell’opera di Antonio Gramsci – “Quaderni del carcere” – ricordo esservi riportata una lettera che Giuseppe Ungaretti scrisse in risposta all’ironia d’un giornalista (Marco Ramperti), il quale dice di aver scambiato un logogrifo enigmatico con un carme del poeta. Ecco il sintetico commento di Gramsci: “L’Ungaretti non è che un buffoncello di mediocre intelligenza”. Basta leggere la stessa lettera di Ungaretti per non dissentire da Gramsci. [Quaderno 9 pag. 1097 – 1098. Edizione critica a cura di Valentino Gerratana].
Ecco il testo della lettera: “Caro Angioletti, di ritorno da un viaggio faticoso per guadagnare lo scarso pane dei miei bimbi, trovo i numeri dell’Ambrosiano e della Stampa nei quali un certo signor Ramperti ha creduto di offendermi. Potrei rispondergli che la mia poesia la capivano i contadini, miei fratelli, in trincea; la capisce il mio Duce che volle onorarla di una prefazione; la capiranno sempre i semplici e i dotti di buona fede. Potrei dirgli che da 15 anni tutto ciò che di nuovo si fa in Italia e fuori, porta in poesia l’impronta dei miei sogni e del mio tormento espressivo; che i critici onesti, italiani e stranieri, non si fanno pregare per riconoscerlo; e, del resto, non ho mai chiesto lodi a nessuno. Potrei dirgli che una vita durissima come la mia, fieramente italiana e fascista, sempre, davanti a stranieri e connazionali, meriterebbe almeno di non vedersi accrescere le difficoltà da parte di giornali italiani e fascisti. Dovrei dirgli che se c’è cosa enigmatica nell’anno X (vivo d’articoli nell’assoluta incertezza del domani, a quaranta anni passati!), è solo l’ostinata cattiveria verso di me da parte di gente di …spirito. – Giuseppe Ungaretti”.
E la chiosa sintetica di Antonio Gramsci: “La lettera è un capolavoro di tartuferia letteraria e di melensaggine presuntuosa”.
Credo non guasti, anzi sarebbe salutare togliere un po’ d’aureola ai poeti assurti a mito.