Silvia Ballestra ha una lunga consuetudine con Joyce Lussu: “la conosco da sempre” afferma nell’introduzione, tanta è la fama che essa si porta dietro, come donna, compagna di Emilio Lussu, avventurosa protagonista tra fronti e frontiere in tante città dell’Europa occupata dalle forze nazifasciste, partigiana, scrittrice, schierata con tutti i movimenti di emancipazione anticoloniale e terzomondisti degli anni ’60, traduttrice di poeti noti e meno noti di tante periferie del mondo, poetessa, femminista nel pensiero e nell’azione.
Il libro è frutto dei tanti incontri tra Silvia Ballestra e Joyce nella sua casa marchigiana di campagna tra Porto San Giorgio e Fermo, e già ne aveva curato l’importante “Joyce Lussu: una vita contro: diciannove conversazioni incise su nastro” (Dalai Editore, 2012). Le due donne, nonostante lo scarto generazionale, Joyce è del 1912, Silvia del 1969, sono accomunate da una lontana parentela familiare e da una parentela geografica: le Marche, la Ballestra è nata a Porto San Giorgio, le sue colline segnate dalla mezzadria, il mare Adriatico, i Monti Sibillini.
Ne “Il libro delle streghe” Joyce scrive “La terra dei miei padri (non delle mie madri, che vengono dal nord, dal paese dei Pitti) è la Marca meridionale, ai piedi dei monti sibillini, dove aveva sede la sibilla detta appenninica o cimmerica. La sibilla appenninica continua ad essere presente, non solo nell’oralità popolare ma nella cultura scritta”. La Ballestra cita la scrittrice Loredana Lipperini (pag.220), esperta di storie di sibille, la quale sostiene che Joyce Lussu è la prima scrittrice a lasciarci un’interpretazione della sibilla appenninica da un’ottica di donna (prima ne hanno scritto solo uomini). La sibilla di Joyce è una donna saggia, pacifica, attenta all’ambiente, non ha nulla di angelico o demoniaco, non ha niente di soprannaturale o divino, è molto umana “È ciò che rimane di antiche civiltà e diventano streghe quando il nuovo sistema produttivo si impone e smantella vecchie forme di organizzazione più eque e rispettose”.
Per una come Joyce, che ha attraversato il Novecento, vivendo pienamente con Emilio il drammatico presente, che poi si è fatto passato e che su tante tematiche ha preconizzato il futuro, la nomea di Sibilla le si addice, e, dice Silvia Ballestra “In molti incontri e articoli di giornale, anche dopo la sua morte, per definirne la figura veniva presentata come Joyce Lussu, sibilla del Novecento”. Lei certo ne sorrideva e se ne schermiva, poiché non amava le mitizzazioni di qualsiasi tipo, eppure questo aiuta a capire il senso del titolo.
Gioconda Beatrice Salvadori Paleotti, per tutta la famiglia Joyce, era figlia di Guglielmo Salvadori e di Giacinta Galletti di Cadilhac. Guglielmo Salvadori, che tutti chiamano Willy, era professore di sociologia e filosofo, vive a Firenze e ha chiare idee antifasciste, e presto si scontra con il padre, ricco proprietario marchigiano, agrario della prima ora e fascista convinto. La famiglia di Cynthia, così era chiamata la madre di Joyce, donna colta e aperta alle istanze femminili, di origini inglesi, si era trasferita nelle Marche a metà ottocento, e anch’essa gode di un ricco patrimonio terriero a cui presto rinuncerà perché condivide col marito ideali socialisti non graditi dal nascente movimento fascista.
Due date segnano la vita e la formazione ideale di Joyce: appena dodicenne il 1 aprile 1924, a Firenze, il padre subisce un brutale pestaggio da parte di una squadraccia fascista. Minacciato di morte e privato del lavoro di insegnante Willy Salvadori è costretto all’esilio. Con tutta la famiglia, la moglie, Joyce, la sorella Gladys e il fratello Max (che, l’anno prima del padre, era stato pestato a scuola) trovano rifugio nel cantone di Vaud, nella Svizzera francese.
L’antifascismo radicale e coerente di Joyce nasce da quell’episodio. La seconda data è l’incontro con Emilio Lussu. Il carisma e l’alone leggendario del capitano Lussu, si era ulteriormente rafforzato dopo l’incredibile fuga dall’isola di Lipari, carcere di confino per antifascisti. Con lui nella fuga Carlo Rosselli e Francesco Fausto Nitti. Lussu, supericercato dall’Ovra, ha fondato con Rosselli il movimento clandestino di Giustizia e Libertà, ed è lui a coniare il motto “Insorgere! Risorgere!”, Danilo Dolci disegna il simbolo. Anch’egli esiliato si sposta tra la Francia e la Svizzera, vive sotto falso nome, mister Mill. L’incontro tra Emilio e Joyce ha un che di romanzesco.
1933: il fratello Max, simpatizzante e con incarichi di responsabilità in G.L, chiede alla sorella di raggiungerlo a Ponza, dove era in carcere, per affidarle un’ importante e delicata missione: deve consegnare una lettera segreta, che contiene un piano di fuga, da consegnare a Mister Mill, alias Emilio Lussu. Ma dov’è Lussu? La sua vita in clandestinità ne rende difficile il contatto, finché se ne segnala la presenza ad Annemasse, cittadina a 7 chilometri da Ginevra, dove egli era ospite del marchigiano repubblicano Giuseppe Chiostergi, docente di lingua e letteratura italiana. La lettera verrà consegnata, e la stessa Joyce scriverà “L’amore era stato immediato e totale, il colpo di fulmine dei romanzi dell’Ottocento” (pag. 48 del libro). La giovane ventenne, alta, bionda, occhi chiari e bellissima, colta e dal carattere forte e deciso ha ventidue anni meno di Emilio. Fu l’incontro di una notte, perché Joyce partirà poi per l’Africa a seguito di un amico di Max, Aldo Bellugi, che sposerà nel 1934. Bellugi è iscritto al PNF e il deludente matrimonio entra ben presto in crisi.
Nel 1938 Joyce rientra in Italia con un unico pensiero, rivedere Emilio. Si rivedono finalmente a Ginevra: Joyce ha ventisei anni, Emilio 48. Da allora, nel periodo terribile e cruciale che va dagli anni immediatamente precedenti lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale fino agli anni della Resistenza, è un continuo vedersi e lasciarsi, varcare confini e spostarsi in clandestinità da un luogo all’altro dell’Europa, nelle trame di un antifascismo che vagheggia un impossibile rovesciamento del regime. “Anche se non ci sei prima o poi ti ritrovo”, tra “Fronti e frontiere” (è il titolo del bellissimo libro di Joyce Lussu su quegli anni), con Joyce che ha uno straordinaria capacità e coraggio di adattarsi alle situazioni, assumendo nomi falsi, adattandosi alle circostanze più pericolose, lei che conosceva quattro lingue (Italiano, Inglese, Francese, Tedesco), facendosi perfino esperta di falsificazioni di documenti per salvare persone che tentano di lasciare l’Europa per sfuggire alla morsa delle dittature.
Dopo il 25 luglio Joyce torna in Italia: è attivissima nella Resistenza, e nell’estate del 1944, il 6 giugno, nella Roma liberata dagli Alleati, Emilio e Joyce, che sta per partorire, si sposano. Il 15 giugno del ’44 nasce Giuannicu, era il nome del nonno, Giovanni Lussu. A fine anno Joyce ha il primo impatto con Armungia: un altro mondo, povertà, malattie che affliggono i bambini, la condizione delle donne, ma anche la bellezza aspra della Sardegna, la sua gente ricca di umanità, come se la immaginava dai tanti racconti di Emilio.
Una vita, tante vite, quelle di Joyce Lussu, una vita parallela con quella di Emilio Lussu, eppure sempre libera e autonoma perché, lo ha sempre reclamato, quello che fanno gli uomini lo possono fare le donne. Questo è un aspetto cruciale della personalità di Joyce: come trovare un equilibrio, una posizione nel mondo, andare oltre l’essere la moglie di Emilio Lussu, con cui ha “sempre marciato insieme, collaborato, condiviso ideali e battaglie comuni” e trovare una sua dimensione. E quando Emilio occupa cariche pubbliche (ministro, senatore, capo partito) lei cerca altre strade, non totalmente diverse (per esempio architetto, medico o avvocato, scienziata o altro) ma in qualche modo attigue per poter raccontarsi cose interessanti, quando la sera ci si ritrova in casa.
Queste strade sono essenzialmente la poesia e le traduzioni, campi altri rispetto agli interessi di Emilio. Fin da quando era ragazza, si è occupata di Poesia: autrice, critica e traduttrice, dei grandi, come Nazim Hikmet o il grande poeta angolano António Agostinho Neto, e dei più lontani e sconosciuti, quelli che cantano degli offesi del mondo, e a cui bisogna dare voce.
Ma nelle tante vite di Joyce Lussu c’è anche altro: l’adesione ai movimenti delle donne, ai movimenti di liberazione dal colonialismo, l’anelito alla pace, il ripudio della guerra, una sensibilità tutta femminile, e per nulla scontata per quegli anni , ai temi ambientali. Nel 1977 pubblica (Mazzotta) “L’acqua del 2000″, un saggio in cui, Sibilla che vede il futuro, ragiona su come il capitalismo e una visione tutta predatoria e produttivistica della natura potrebbero portare l’uomo a privatizzare l’uso dell’acqua e di altri beni primari.
C’è tanto nell’interessantissimo libro di Silvia Ballestra, tra i 12 finalisti al Premio Strega 2023, un omaggio non retorico o convenzionale alla straordinaria vita di Joyce Lussu.
Tonino Sitzia