Quando nell’estate del 2023 viene annunciata l’uscita in Giappone (il 14 luglio) dell’ultimo film di animazione del regista Miyazaki, abbiamo pensato che fosse l’estate la stagione giusta per vedere quest’opera. Intanto in Italia Il ragazzo e l’airone viene presentato in anteprima a Lucca Comics e al Festival del cinema di Roma soltanto in autunno e annunciata la sua uscita nelle sale per il primo gennaio del 2024. Kimi-tachi wa Do Ikiru ka (Tu come vivrai? o Voi come vivrete?) è il titolo originale, lo stesso del libro per ragazzi di Genzaburo Yoschino, pubblicato nel 1937.
Logo azzurro dello Studio Ghibli: il film apre con una sirena e le bombe di fuoco che nel 1945 incendiano le abitazioni in legno della città di Tokio. Un omaggio alla Tomba delle lucciole di Isao Takahata scomparso nel 2018, sodale di Miyazaki nello studio Ghibli e patriarca con lui della animazione tradizionale giapponese, dal 1985.
Mahito Maki è un dodicenne reattivo e determinato che in quel bombardamento di Tokio perde la madre, tra le fiamme dell’ospedale in cui lei lavora. Con suo padre, ingegnere in una industria di aeroplani, si trasferisce in campagna presso la fabbrica, in una casa tradizionale giapponese, dove vive la zia Natsuko, che diventerà la nuova madre di Mahito.
Da allora la vita del ragazzo sarà una scoperta continua, anzi un capovolgimento. Circondato com’è da strane anziane sapientissime inservienti, da animali che lo sfidano per creare alleanze inconsuete, da profonde e cupe vegetazioni che nascondono torri segrete e decadenti. Lo spettatore è immerso in una scenografia fantastica e iperrealista allo stesso tempo, magìa scaturita da una grafica classica a due dimensioni, che non ha bisogno di alcun effetto speciale; i dettagli cromatici e il formalismo della linea sono in fusione perfetta.
Dal momento in cui la giovane zia Natsuko (incinta) sparisce, Mahito accede alla missione di varcare le soglie tra quello che è e quello che si immagina, tra il passato e il futuro, tra il mondo dei vivi e quello dei morti. E qui, ecco che un airone cinerino (nascondendo i tratti di un nasuto, artigliato e pennuto elfo trasformista, dotato di intuiti e poteri) interviene, spiega, combatte, soccorre: ma non è l’unico. Nel mare dei morti che sta sotto quello dei vivi, c’è un mucchio di gente e di energia, e ci sono un mucchio di animali: Kiriko la piratessa coraggiosa, Himi che padroneggia il fuoco e riveste le sembianze della madre di Mahito da fanciulla, pappagalli re e sudditi, e pellicani ammalati e incattiviti. Oltre a piccole tonde e leggere animelle candide che, maturando solo in certe condizioni, salgono alla vita nella superficie del mondo reale: i warawara. Ci ricordano gli affollati nerini del buio o corri fuliggine susuwatari nel film con Totoro del 1988.
Mahito infine ritrova il suo sapiente prozio (in vita un accanito lettore di libri), divenuto una sorta di mago costruttore di sapienze e custode di molti poteri, immerso tra pietre sospese e elementi di una geometria solida dell’aldilà; il giovane rinuncia però a succedergli, nella gestione del tempo e dello spazio. Con l’aiuto di Himi e dell’amico airone riesce a salvare la giovane zia, e rientra con lei nella realtà riconoscibile e consueta. Scegliendo la consapevolezza.
Messaggio, testamento, sintesi e compendio autobiografico del regista, hanno scritto. Ci sono troppi simboli in questa storia, si rischia l’affastellamento in bilico tra il caos e la confusione, ripetono alcuni recensori.
A noi, in sala, certi tipi e scenari invece, divertono e… fanno anche ridere! Non si può più ridere? L’animazione orientale è spesso veicolo di ironia, con quell’impulso all’improvviso ribaltamento, alla rapidità inattesa, seguìta magari da un silenzio immobile. Nei film di Hayao Miyazaki è normale riposarsi sotto un tavolo e poi squarciare pesci giganti con coltelli affilati. La conoscenza dopo tutto è trasformazione, cambiamento. Dunque noi, come vivremo?
Elisabetta Borghi