I grandi registi si riconoscono per alcuni ricorrenti temi, modalità di dialogo, inquadrature e vite di personaggi, luoghi, luce e fotografia. Così è facile dire “questo è Woody Allen” (vedi la bella recensione di Elisabetta Borghi nel sito di Equilibri Coup de chance di Woody Allen 2023), oppure “questo è Wenders, vedi l’ultimo “Perfect days”, col suo dichiarato amore per la fotografia, che trapela da ogni immagine, oppure vedi Almodovar o Sorrentino ecc…Così è per l’ultimo Kaurismaki con il pluripremiato “Foglie al vento”. Si potrebbe dire anche “basta, sono troppo ripetitivi…o scontati”, eppure questa sorta di marchio doc che li rende unici non stanca, anzi viene voglia di rivederli, forse perché, attraverso l’arte, in fondo ci immedesimiamo, parlano di noi e del nostro terribile e inafferrabile mondo.
Nella ricca e opulenta Finlandia, quella della scuola in testa alle classifiche europee, quella modello di welfare, Kaurismaki scava negli angoli profondi della società, nei luoghi anonimi della periferia urbana di Helsinki, laddove due solitudini casualmente si incontrano. Inizialmente non conosciamo il loro nome, prototipi di un proletariato indistinto e alle prese con la quotidianità. Poi conosceremo lei, Ansa, alla ricerca di un lavoro purché sia, perché il lavoro è dignità, e lui, Holappa, alcolizzato e deluso, licenziato perché scoperto a bere al lavoro. Ansa è stata licenziata da un supermercato perché, denunciata da un vigilante spione, nascondeva cibi scaduti da dare a emarginati e senza tetto, perché nella perfetta logica del liberismo dello spreco il cibo si butta, anche se ancora utilizzabile. Le loro vite parallele si incontrano in un karaoke di periferia, dove incrociano destini di uomini e donne come loro, e alcuni cantano canzoni d’epoca che trattano d’amore e improbabile felicità.
I due si cercano, c’è dell’affinità tra loro, si danno appuntamento, ma Holappa perde il foglietto dove ha annotato il numero di telefono di Ansa, volato via come le foglie al vento. Mentre in radio si sentono continuamente le notizie dell’invasione russa dell’Ucraina, quasi un sottofondo di tragedia che incombe con l’assillante bollettino sulle sorti dei civili, vittime collaterali del nonsense della guerra, Ansa, nella sua casa frugale e in compagnia di un cane trovato per strada, aspetta un segnale, una chiamata, che non arriverà. Solo il gioco inaspettato del caso li farà casualmente rincontrare.
Kaurismaki non si smentisce: tematiche operaie, lavoro, dialoghi essenziali, silenzi e primi piani che svelano più di quanto facciano a volte le parole, alcool, ambienti e colori malinconici. Eppure c’è un qualcosa che autorizza la speranza e un barlume di luce: la solidarietà dei compagni di lavoro, anch’essi sfruttati e vittime del precariato senza regole, e la casualità che li ha fatti incontrare di nuovo e che favorirà un ravvicinamento e forse un progetto di vita comune.
Ultima annotazione riguarda la scelta delle musiche nei film di Kaurismaki, che è un altro suo tratto caratteristico. In questo film in particolare tanghi alla Gardel, mambo italiano, perfino la serenata di Schubert, e a chiusura la canzone del duo Maustetytöt, composto dalle sorelle Anna e Kaisa Karjalainen a me sconosciute ma notissime in Finlandia col loro rock nordico. La loro canzone, incomprensibile e illegibile, per chi non conosce il finnico, ha per titolo “Syntynyt suruun ja puettu pettymyksin”. La traduzione “Nata nel dolore e vestita di delusione” si adatta perfettamente al film e ne è quasi un compendio.