18 Dicembre 2024
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Ladro di cani (titolo originale El Ladrón de perros) di Vinko Tomicic, 2024

Il film di Vinko Tomicic è ambientato a La Paz, la capitale storica della Bolivia (quella amministrativa è Sucre), e quando Gabriele Soro me ne ha parlato, sono andato a vederlo più per le suggestioni che questa città mi aveva suscitato quando l’evevo visitata (novembre 2017), che per la storia in sé  e per i suoi straordinari e solitari protagonisti, tra cui il cane  Astor. Il film è uscito nelle sale nel settembre 2024 ed è una coproduzione tra diversi paesi latino americani ed europei, in particolare Bolivia e Cile, in cui il regista è nato (Cile) e vissuto.

La prima suggestione che ricordo è l’arrivo a La Paz. L’aeroporto di El Alto è situato a 4061 s.l.m  e il nome ne spiega il significato: è il secondo più alto del mondo, dopo quello di Oamdo Bangda, in Tibet (4400 s.l.m ). El Alto è un quartiere di La Paz, situato a 15 km dal centro della capitale. Appena si scende dall’aereo e ci si avvia alla hall degli arrivi, si è presi da una sensazione di vertigine, passo lento, lieve capogiro e nausea, dovuti all’effetto altitudine, quella che nei paesi andini chiamano mal de altura o soroche . La sensazione di vertigine poi si avverte guardando il panorama sterminato di La Paz,  che si estende in uno stretto altopiano più in basso rispetto all’aeroporto (3640 m.l.m) con lo sfondo le innevate cime del Monte Illimani. Da El alto parte la teleferica che lo collega alla città.

Immagine notturna di La Paz (Foto Tonino Sitzia)

Di certo non prova vertigini il protagonista del film, Martín, tredicenne dal volto indio, orfano di madre alla ricerca di suo padre, e alla ricerca di se stesso nella labirintica città, ed è questa un’altra suggestione del ricordo: La Paz è una città labirintica e brulicante di umanità.

Sbeffeggiato e bullizzato dai compagni di scuola, proprio in quanto ha tratti andini, Martín utilizza un passamontagna per non farsi riconoscere, e  sopravvive facendo il lustrascarpe, accolto e ospitato, assieme all’amico Sombras, da una tata andina che lavora come domestica presso una famiglia benestante e che vorrebbe adottarlo pur non avendone le risorse.

La telecamera, e qui sta la bravura del regista, segue il continuo andirivieni di Martín, e così si ha l’idea della conformazione geografica della città, con i suoi saliscendi delle strade, gli acciotolati, i marciapiedi con le donne in bombetta che vendono i loro prodotti,  la notturna penombra, l’abbaiare dei cani che fanno da sottofondo, le discariche di auto in cui il protagonista si incontra con i suoi amici  che, come lui,  vivono la loro esistenza di marginali ai limiti della legalità. Nelle pieghe delle città sudamericane, ma anche nostre, si nascondono le contraddizioni e le diseguaglianze, e chi non ha i mezzi, viene sopraffatto.

La Paz, La Ciudad de Nuestra Señora de La Paz, Città di Nostra Signora della Pace come la chiamarorono i conquistadores spagnoli, non è affatto una città pacifica, e poche sono le opportunità di redenzione, per chi è orfano o povero, sia legalmente o illegalmente. Martín, facendo il lustrascarpe, incontra un vecchio sarto, benestante e dai tratti nobili, che lo aiuta, gli dà una generosa mancia, a volte lo ospita e gli offre da mangiare nella sua casa, dove vive con un cane, Astor, l’unico che ne mitiga la solitudine.  Martín, che con i suoi amici è stato il vero ladron de  perro, si offre di aiutare il vecchio a ritrovare il cane  per averne una ricompensa in denaro. E sarà proprio il cane a farli riavvicinare e ricomporre i destini.

 

 

 

 

 

 

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