Il 13 dicembre 2012 Equilibri, Circolo dei Lettori di Elmas, presentava il libro di Giulio Angioni “Il dito alzato” (Sellerio, 2012) A presentare il libro e dialogare con l’autore Gabriele Soro.
Il titolo evocava il gesto discreto di chi vuole dire la sua su uno o diversi temi inerenti la Sardegna, su cui si discuteva animatamente, scegliendo tuttavia da che parte stare, e assumendone la responsabilità, magari dicendo cose scomode o non in linea con le opinioni correnti. Il libro, diviso per temi e argomenti, ricchissimo e assolutamente attuale, raccoglie scritti o interventi di Giulio Angioni apparsi su quotidiani o riviste, ed è da consigliare per quanti hanno interesse a ragionare sulla nostrra isola e sui suoi problemi. Tutto il libro sottintende il nostro essere nel mondo, come sardi, italiani, europei. Era il titolo del libro di Giacomo Casti “Sardi, Italiani? Europei” (Moltemi Editore, 2018) in cui l’autore faceva una lungua intervista a Giulio Angioni, il primo dei tredici intervistati, quasi un prologo. Il libro era stato presentato ad Elmas da Equilibri nell’aprile del 2019.
Forse è una mia forzatura eppure uno di quegli scritti mi sembra possa essere utile nella bufera e nell’accalorarsi delle discussioni sulle energie rinnovabili, verso cui è bene prendere posizione e alzare il dito per dire la propria. Il titolo dello scritto è “L’dentità al molino”. Angioni prende posizione e alza il dito rispetto ad una consulenza che gli era stata chiesta in quanto antropologo e intellettuale: cosa ne pensa di trasformare l’edificio dell’ex Molino Gallisai, Su Molinu di Nuoro in Museo dell’Identità Sarda (MIS).
Ecco le parole testuali di Angioni “Come si fa a museificare l’identità di un popolo, se le identità sono quella cosa fluida, fluente, plurima che tutti vedono per poco che ci si rifletta? Bisogna poter rappresentare il flusso, il cambiamento, l’adattarsi e il meticciarsi. Mentre è facile la ricerca di essenze immutabili, di tratti inalterati e irrinunciabili del proprio essere impareggiabile. Sul MIS mi è stato chiesto un parere. E io mi sono attaccato a quest’ancora di salvezza, e forse anche bussola per un cammino che porti a un approdo meno incerto: mi sono concentrato sul luogo, sul Molino Gallisai, residuo, reperto di archeologia industriale che potrebbe dirla lunga sul come eravamo nei primi tre quarti del Novecento. Il Molino Gallisai come possibile museo di se stesso, testimonio di un’epoca”.
E ancora: “Tutta la storia dell’isola può essere vista come caratterizzata dal prevalere, nel lungo periodo, della conservazione e della tradizione sulla trasformazione e l’innovazione, del freddo sul caldo. Come e più che per altri luoghi d’Europa, in Sardegna è significativa la ricostruzione del lento superamento della dimensione domestica di produzione, sia con l’utilizzazione di fonti di energia diversa da quella umana e animale, sia con modi di organizzazione complessa del lavoro e di divisione del lavoro che preveda gerarchie definite da livelli di specializzazione e dal possesso delle condizioni della produzione. Ne è un esempio l’introduzione dell’energia idraulica applicata ai mulini o alle gualchiere, che hanno formato una rete abbastanza fitta di impianti lungo fiumi e torrenti soprattutto della Sardegna settentrionale e centrale, isolati o in serie lungo le valli. La storia dell’utilizzazione produttiva dell’energia idraulica in Sardegna, che altrove ha rappresentato il primo passo della rivoluzione industriale e che qui è rimasta fonte secondaria di energia, contribuirebbe alla spiegazione sia del tipo di sviluppo sia del mancato sviluppo negli ultimi secoli.
La storia di tanti veri o presunti fallimenti di intraprese industriali, insomma, qui sembra altrettanto se non più importante che altrove. Ma non ci sono stati solo i fallimenti. Il grande passaggio all’era industriale in Sardegna si ha comunque con l’introduzione dell’energia a vapore, di cui va ricostruita la storia delle applicazioni, dalle miniere ai mulini e ai frantoi, sia in città sia nella campagna, passaggio sancito irreversibilmente tra le due guerre mondiali dall’introduzione dell’energia elettrica, che viene adottata anche, e forse quantitativamente in prevalenza, dalle piccole attività produttive artigiane. In Sardegna, così, come e più che altrove, è indispensabile e significativo documentare le forme e le condizioni del passaggio dalla produzione artigianale a quella industriale: ma con un’attenzione resa accorta dal fatto che i due modi di produzione, artigianale e industriale, vanno individuati e studiati in un’ottica ricalibrata sulle peculiarità, quantitative e qualitative, che queste attività hanno avuto e continuano ad avere in Sardegna”.
Sembra dunque che la Sardegna, come un Giano bifronte oscilli sempre, nei meccanismi dello sviluppo, tra uno sguardo al passato e uno al futuro, ma che storicamente lo sguado al passato sia prevalente, il futuro temuto e rimosso, e il presente prevalga come stasi. Angioni ritiene impossibile musealizzare l’identità, concetto quanto mai complesso, ed è più propenso a cogliere le trasformazioni in atto (vedi Assandira in particolare, e tutti i suoi romanzi) anche quelle contradditorie, purchè siano governate da una collettività cosciente.
Se come dice Angioni “Bisogna poter rappresentare il flusso, il cambiamento, l’adattarsi e il meticciarsi”, questo è il momento buono: fatte salve le preoccupazioni, la salvaguardia dei beni identitari (cui accenna la proposta di Legge Pratobello 24 alla voce “Efficacia urbanistica”), il controllo di ogni attività predatoria o speculativa, se si guarda allo stato del mondo dal punto di vista dei cambiamenti climatici in atto, dovuti principalmente all’aumento delle emissioni di CO2 nell’atmosfera, con movimenti migratori a loro legati, con le guerre in corso, l’insopportabile ricchezza di pochi e la povertà dei più, il disorientamento dei giovani e la loro mancanza di prospettive future (vedi il movimento del Fridays for future…), non c’è alternativa alla produzione di energia da fonti rinnovabili.