La Sardegna e l’energia “pulita”

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Ci piacciono le storie che finiscono bene. Questa è una di quelle.
Negli anni ‘80, gli scienziati hanno scoperto che lo strato di ozono sopra il Polo Sud si assottigliava, creando il “buco dell’ozono”. Lo strato di ozono è una fascia di gas nella stratosfera che ci protegge dai raggi UV, che danneggiano il DNA di piante e animali.
Il buco dell’ozono è causato principalmente da prodotti chimici usati in frigoriferi, condizionatori e spray: i clorofluorocarburi (CFC). Nel 1987 tutti i Paesi del mondo si sono confrontati per affrontare il problema, nel quale il ruolo della scienza è stato fondamentale. Con l’obiettivo di ridurre e poi eliminare i CFC, è stato adottato il Protocollo di Montreal, che ha permesso di ottenere grandi risultati: la produzione di CFC è stata drasticamente ridotta e lo strato di ozono si sta progressivamente ripristinando. Questa vicenda dimostra l’importanza della cooperazione internazionale, laddove dati scientifici chiari hanno consentito di formulare politiche efficaci.
I problemi del buco dell’ozono e della crisi climatica hanno aspetti comuni: entrambi globali e basilari. La comunità internazionale, come ha agito per proteggere lo strato d’ozono, ha riconosciuto la necessità di agire collettivamente, stipulando accordi come il Protocollo di Kyoto e successivamente l’Accordo di Parigi, che mirano a contenere l’aumento della temperatura globale. C’è un obbligo siglato nell’accordo di Parigi di decarbonizzare il più velocemente possibile la produzione di energia elettrica e ciò impone l’utilizzo massiccio di energia rinnovabili.

Il dibattito sul tema dell’energia in Sardegna è particolarmente vivace al momento e molto di “moda”, accompagnato da una mobilitazione popolare e stimolato da un’imponente campagna mediatica sul principale quotidiano sardo, purtroppo con informazioni quanto meno contraddittorie o illusorie, che portano a un rifiuto indiscriminato dell’adozione di tecnologie rinnovabili in Sardegna, accusando tutto il settore economico di speculazione. rischiando di allearsi a speculazioni ancora peggiori, come la pesca a strascico o i cementificatori. La motivazione principale per sostenere questo rifiuto nasce dal fatto che per la Sardegna sono state presentate ben 800 richieste di allaccio per nuovi progetti di eolico e fotovoltaico (corrispondente a 54 GW). Questo dato in molti casi viene riportato come se fossero o dovessero essere accolte tutte, arrivando a produrre quasi 12 volte il fabbisogno regionale. Ma le cose non stanno così: al momento viene richiesto alla Sardegna di aggiungere 6,2 GW entro il 2030! Ed è con questo dato che dobbiamo fare i conti.

La dipendenza della Sardegna dai combustibili fossili va oltre il 70%. Il grosso problema del processo di combustione è l’immissione in atmosfera di vari inquinanti (particolato e ossidi di azoto) e soprattutto di anidride carbonica (CO2), un “gas serra” la cui concentrazione è passata da circa 280 ppm (parti per milione) del periodo preindustriale all’attuale valore di 420 ppm. Gli studi condotti dagli scienziati sulle calotte glaciali dimostrano inoltre che, in 800.000 anni, nei periodi di riscaldamento del pianeta intervallati dai periodi di glaciazione, l’anidride carbonica non ha mai superato le 330 parti per milione. E l’attuale quantità di CO2 in atmosfera sta facendo sì la temperatura media del pianeta aumenti in modo esponenziale. Ebbene, la CO2 presente in atmosfera, che inevitabilmente porta e porterà alla distruzione del “paesaggio”, diversamente dai ben visibili pannelli fotovoltaici e pale eoliche, è “invisibile”. Occorre ricordare però che pannelli e pale potranno essere smontati e dismessi quando non serviranno più e si potrà realizzare il riciclo di questi materiali oltre il 95%. Liberarsi della CO2 in eccesso è molto più complicato.

La Sardegna è l’unica regione italiana ad avere ancora due centrali a carbone attive, il cui spegnimento è rimandato al 2030. Il carbone per il funzionamento viene importato prevalentemente dalla Russia, il che comporta un ulteriore considerevole consumo di energia. In tali condizioni l’anidride carbonica procapite prodotta in Sardegna è la più elevata in Italia. Senza contare il particolato prodotto e mandato in atmosfera quando si brucia il carbone. A questo punto, siamo tutti chiamati a intraprendere la strada della transizione energetica, abbandonando progressivamente le fonti fossili.

Le opzioni per la sostituzione di queste centrali a carbone non sono molte e non possono che indirizzarsi verso le forme di energia “pulita”. Gli impianti eolici e fotovoltaici occupano certamente spazio, impattano sul paesaggio, e non possono e non devono essere installati ovunque, ma non si può affermare di voler realizzare la transizione energetica senza accettare questi. Solare ed eolico sono fonti che dipendono dalle condizioni atmosferiche, producono di giorno e quando c’è vento. Da quì la necessità di installare potenze maggiori dei picchi di potenza richiesti e di disporre di adeguati sistemi di accumulo dell’energia prodotta in esubero, nonchè di guidare in modo intelligente la domanda e di rafforzare la rete di trasmissione e distribuzione dell’energia, incluse le interconnessioni con il resto della rete nazionale (come Tyrrhenian Link) indispensabile a garantire stabilità.

Tra le varie informazioni della campagna mediatica contraria all’installazione di rinnovabili in Sardegna, viene riportata la proposta di un modello energetico basato sull’idrogeno, come fonte di energia rinnovabile. Bisogna precisare che l’idrogeno non è una fonte energetica disponibile come per esempio il petrolio, il carbone o il gas. Per poterlo utilizzare è necessario produrlo ad hoc. Per fare questo è necessario disporre di una fonte di energia. Per un tale modello occorrerebbe installare in Sardegna ben 17 GW di eolico e fotovoltaico !!

Dal 2020 al 2024 la Sardegna ha autorizzato poco più di 1 GW fra eolico e fotovoltaico per cui in realtà persino i 6,2 GW previsti dal DM “aree idonee” nel 2023 avranno probabilmente difficoltà ad essere realizzati nei tempi previsti. In un territorio vasto come il nostro le aree idonee a realizzare questi impianti si possono individuare. Sono adatti i tetti, laddove possibile, che però non possono essere sufficienti. Saranno benvenute le comunità energetiche rinnovabili, le quali comunque avranno bisogno di impianti fotovoltaici e/o eolici per essere alimentate. L’eolico off-shore a qualche decina di chilometri dalla costa sarebbe davvero scarsamente visibile, come dimostrato in tanti territori dove è stato installato. Ci sono foto di tanti paesaggi bellissimi, che restano tali anche con un l’eolico in mare, perché rimane quasi invisibile dalla costa.

Occorre fare delle scelte, razionali e graduali: non tutto rinnovabile e subito, ma certamente occorre che ciascuna regione assuma le proprie responsabilità nel realizzare la transizione energetica, e anche che tutti noi rifiutiamo l’idea che nessun nuovo impianto è possibile in Sardegna. Se vogliamo che anche questa storia abbia un lieto fine, come quella del “buco dell’ozono”, se vogliamo che il nostro ambiente continui ad essere vivibile e accogliente, dobbiamo in tempi brevi liberarci dalla dipendenza dai combustibili fossili. In Inghilterra e Danimarca hanno già chiuso tutte le centrali a carbone.

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