18 Dicembre 2024
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I cartelli di Zoran

C’erano proprio tutti quella mattina nello spiazzo sterrato di fronte allo stagno di Santa Gilla. Arrivarono per primi i vigili urbani seguiti dall‘assessore ai servizi sociali del Comune, poi le associazioni di volontariato, i giornalisti e l’ingegner Meloni, direttore dei lavori della nuova strada che porta a Città Mercato. Alla vista di una così tanta moltitudine, nel campo il vociare s’interruppe di colpo e gli zingari si voltarono a guardare quella folla che, con aria minacciosa, avanzava verso di loro. Le donne presero per mano i bambini più piccoli, mentre quelli più grandi si strinsero alle gambe dei loro padri. I vecchi continuarono a fumare i loro sigari con gli occhi socchiusi e i cani del campo cominciarono ad abbaiare. Un ragazzino, con i riccioli biondi e i calzoncini a righe bianche e blu, si chiuse spaventato dentro quella che doveva essere stata, un tempo, una roulotte “de luxe”. “Buongiorno a voi” esordì il comandante Ollargiu, portando le dita della mano sulla visiera del cappello d’ordinanza “vorrei parlare con il capo, sì insomma, con chi comanda qui”.

Un uomo sui quarant’anni, alto, ben proporzionato e con grandi occhi neri, si diresse verso il comandante. Avanzava lentamente tenendo in mano il piatto di rame che stava cesellando. Quando gli fu di fronte, lo fissò negli occhi. “ Mi chiamo Zoran “ disse, mentre la sua bocca si stirava in una specie di sorriso “perché tutti questi gagè in nostro campo, oggi?”. “Eh, perché, perché…Perché qua stanno succedendo delle cose strane “ intervenne l’ingegner Meloni, che era di fresca nomina e non voleva avere già delle rogne. “Noi posizioniamo i cartelli stradali indicatori, ha presente? Quelli di metallo blu con le scritte bianche. Beh, il giorno dopo non li troviamo più. Spariti!” disse, mimando la sparizione per essere più comprensibile. “Uhm, e perché venite qua?” replicò Zoran, lisciandosi i lunghi capelli e sistemandosi meglio sulla testa il cappello di panno nero. “Perché pensiamo che li abbiate presi voi” rispose il comandante Ollargiu, dando una pulitina ai suoi Ray-ban. “Non vi permetto di dire queste cose” replicò la signorina Giovanna Steri, presidente dell’associazione di volontariato Progetto Rom, “ è sempre la solita storia: accusare gli zingari di tutti i furti che avvengono nella zona. E’ mai possibile che si debba sempre partire in quarta andando a cercare chi è più debole? Se mi aveste chiamato ieri, avrei parlato io con loro e non ci sarebbe stato bisogno di mettere su tutta questa pagliacciata. Con i giornalisti, poi…Così chi leggerà il giornale, domani, penserà che dovremmo allontanarli, rimandarli a casa loro, dargli il foglio di via, eccetera, eccetera. Tutte cose già viste”. E si soffiò il naso con un Kleenex. “Ah! E’ per questo che siete qui” disse Zoran tirando fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni. “Adesso io chiamare vescovo, lui mio amico e lui sistemare voi” e così dicendo, cominciò a smanettare sul telefonino. “Senta, lasci stare il vescovo. Piuttosto mi dica se siete stati voi oppure no e finiamola qui” rispose alquanto seccato il comandante mentre i vigili urbani davano uno sguardo dentro le roulottes. L’assessore e qualche impiegato del Comune intanto gironzolavano per il campo, seguiti dal branco di cani ringhianti. I giornalisti avevano già messo in funzione le loro macchine fotografiche e un vecchio, con un sorriso a ventiquattro carati, si era già guadagnato un primo piano. Zoran accarezzò i pendaglietti appesi alla catenina d’oro che portava al collo, fece un profondo respiro e guardando sornione il comandante Ollargiu, cominciò il suo discorso.”Noi siamo eccellenti architetti, sappiamo costruire quattro, cinque baracche in una notte e voi gagè non vi accorgete di nulla. Siamo come bravo ingegnere. Quando è tanto freddo dobbiamo proteggere muri e usare nailon per pioggia. Quando è caldo dobbiamo mettere reti alle finestre per non fare entrare topi che morsicano nostri bambini. Voi dite che mancano cartelli stradali. A che cosa ci servono vostri cartelli? Vedete cartelli qui? Ascolta, capo” continuò, rivolgendosi al comandante “ qui tutto a posto, tutto tranquillo. Io offrire da bere e dire a voi bella poesia di zingaro: “Alle porte della città aspetto un sorriso. Tu hai ballato nei bagliori del fuoco con la musica del mio violino, ma non hai visto la mia tristezza. Alle porte della città aspetto una mano. Sei venuto nella mia tenda, ti sei riscaldato al fuoco ma non hai calmato la mia fame. Alle porte della città aspetto una parola. Hai scritto lunghi libri, hai posto mille domande ma non hai aperto la mia anima. Alle porte della città aspettano con me molti zingari.”*

“Ecco, sarete soddisfatti. Bella figura che ci facciamo. Su, su, andiamo via. Quando lo saprà il vescovo…” sbottò la signorina Steri, guardando, con sguardo truce, il giovane direttore dei lavori. “Ma… signorina!” replicò sconsolato l’ingegner Meloni. “Sì, sì, andiamo e poi… con questo che continua a scrivere!” aggiunse il comandante guardando storto il giornalista. E così, la piccola folla si allontanò seguita dal branco di cani ringhianti. Zoran respirò profondamente, si sistemò il cappello di panno nero e si accese un sigaro. Poi, prese in braccio suo figlio e sollevandolo fino a farlo sporgere sul tetto del gabinetto, chiese “ Cosa c’è scritto lassù?”. “Pula” rispose il bambino, mentre tutto il campo rideva forte.

(Il racconto è stato selezionato al concorso Cartabianca Ed. 2012 e pubblicato nell’antologia “Il posto giusto” Edizioni Taphros.) * La poesia “Alle porte della città” è del poeta ROM Olimpio Cari

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