18 Dicembre 2024
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“Sulla faccia della terra”, Giulio Angioni (Il Maestrale 2015) – Recensione di Pier Giorgio Serra

Sulla faccia della terra_AngioniOhiohi la guerra. Ma se ti trovi dentro, odiala con chiarezza. Questa riflessione la fa Mannai Murenu, garzone del vinaio di Seui Nanni Pes. E la fa dopo che è rimasto sepolto per tre giorni sotto una catasta di cadaveri, uomini e donne uccisi dalla furia pisana che nel 1258 si abbatte su Santa Gia, distruggendola. Appena può scappa dalle rovine fumanti ammorbate dalla paura dell’epidemia che può arrivare dopo che i soldati di Pisa e i loro comandanti, ben consigliati da arcivescovi ed episcopi rapaci, hanno catapultato dentro le mura i lebbrosi, alcuni vivi altri già morti.

Scappa e incontra Paulinu da Frauss, servo del convento di Santa Maria di Cluso che gli consiglia la salvezza unica e possibile nel rifugiarsi nell’isola dei lebbrosi che adesso è libera. Questo è l’antefatto  di “Sulla faccia della terra”, ultimo romanzo in ordine di tempo dello scrittore Giulio Angioni. Che è stato ed è anche antropologo. Se il tempo del romanzo è il medioevo giudicale, quando genovesi e pisani si contendevano il controllo dei commerci sardi, il luogo è la laguna lo stagno, lo spazio non ha la solidità della terra ma la liquidità dell’acqua, acqua di stagno.

Nella ex isola dei lebbrosi si costruisce una piccola comunità in cui convivono cristiani, un ebreo, Baruch, che si fa trasportare da due sedieri, musulmani, bizantini, ex schiave e mercenari tedeschi in fuga, giovani, vecchi, bambini e un cane rabdomante che nello stagno scova polle d’acqua potabile. Nell’isola dei lebbrosi  rinascono, ognuno mette a frutto le proprie abilità  si riscoprono antichi mestieri e la comunità nuova crea un microcosmo armonico alla faccia delle tragedie della storia che attorno a loro continua a mietere vittime e a provocare rovine. Nel libro di Angioni romanzo storico e riflessione morale e civile si integrano in una narrazione rapida e avvincente: nei primi capitoli la parola è usata in forma poetica, la ricerca dei suoni sa più di verso poetico che di prosa distesa. E chi conosce l’ultima produzione letteraria dello scrittore-antrologo-poeta non si stupirà, anzi, vi troverà la conferma della bravura di Angioni nell’inanellare parole in versi. Ancora una volta la sua produzione letteraria ci offre la possibilità di riflettere su alcuni temi di stretta attualità.

Temi universali e senza tempo  come “l’illusione folle di uguaglianza”, “la necessità della tolleranza”, “il bisogno di avere a fianco un fratello, un amico, un compagno o una compagna”, “l’obbligo di essere liberi”. Questi i temi di fondo del libro che scaturiscono da un intreccio abile di rapide descrizioni e squarci illuminanti di pura umanità. Tutti i personaggi che abitano l’isola vengono umanizzati con sapiente ricerca lessicale, quasi fosse la parola la vera protagonista delle centocinquantacinque pagine del romanzo raggruppate in trentasette capitoli brevi, quasi frammenti.  Ma non è frammentaria la grande avventura collettiva che va avanti apparentemente senza scossoni, quasi che lo scrittore avesse voluto rispecchiare nella pagina scritta la grande bonaccia che aleggia e da sempre accompagna gli ambienti salmastri.

Insomma “Sulla faccia delle terra” è un libro lieve e gentile che, accanto all’ormai consolidata capacità dello scrittore di far emergere con controllato fervore tipi umani dalle caratteristiche più disparate, offre al lettore la possibilità di immergersi in una storia non di maniera, ma in una serie di eventi in cui i protagonisti sono calati con la loro carne e con la loro  mente in quella grande matassa di storie che noi chiamiamo umanità.

 Pier Giorgio Serra

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