“A volte, nei momenti più impensati, per strada, puoi sentire l’anima lacerarsi, catturata dalla storia di qualcuno che ti è appena passato accanto.” David Grossman
Potevo avere otto o nove anni allora, non ricordo con precisione. Dunque stiamo parlando del 1972, o forse del 1973. Quello che è certo è che era una calda giornata di maggio, era di sabato, l’estate era alle porte e già si avvertiva la particolare atmosfera della fine dell’anno scolastico.
“Vai al bar e prendimi una schedina”, aveva detto mio padre, buonanima, prendendosi i rimbrotti di mia madre…”ma candu mai mi mandas su pippiu in su bar? Deu nau ca ses scimprendidì…” “in quale bar?” avevo risposto, e lui “il bar del signor Efisio”, quasi a voler dire che quello era IL BAR per eccellenza. Mio padre era fissato con la schedina, come lo erano i suoi amici…sembrava che da quel foglietto colorato Madama Fortuna potesse affacciarsi e materializzarsi in un sorriso accattivante “Lei ha fatto tredici!”. “As a biri ca candu fedeus tresci cambiat tottu, si fadeus uno bellu viaggiu a Roma, a Santu Perdu”, diceva a mia madre, che lo guardava sorridente. Sebbene lei non avesse studiato i filosofi o i saggi, molti dei quali sostengono che le abitudini tengono a bada il tempo che scorre, sapeva che gli uomini vivono di riti e abitudini e quello della schedina era proprio un rito, il rito del sabato sera.
Mio padre però non poteva mai fare tredici, non era un freddo e obiettivo giocatore, o un esperto di calcolo delle probabilità o di cabala, era un sentimentale, ed era allo stesso tempo cagliaritano e iuventino fino al midollo per cui se la Juve o il Cagliari giocavano in casa era 1 fisso, se giocavano fuori casa era 2 fisso, e la X per lui non esisteva. Si era innamorato della Juve dei bei tempi, quella di Sivori, Charles e Boniperti e diceva che solo il Grande Torino avrebbe potuto competere con quella squadra. Mi raccontava spesso del “cabezon”, del suo tunnel, dei suoi dribbling che a suo dire sapevano di tango argentino, dei suoi goal, e in effetti nelle nostre interminabili partite nei campetti del paese Sivori era uno di quelli da imitare.
Ero entrato così per la prima volta nel bar. Per fare una commissione a mio padre.
“Su mundu est fattu po genti chi camminat”…la frase, ancora oggi viva nella mia memoria, era stata pronunciata da un tizio male in arnese, che faceva capannello e discuteva animatamente con altre persone attorno ad un tavolino dove si giocava a carte, tra nuvole di fumo e bottiglie di birra.
Mi ero incantato a osservare la combriccola tra cui spiccava uno spilungone allampanato, che essendo io poco più che un bambino forse mi sembrava più alto. Era stato lui a fare da traduttore alla frase del tizio mal preso…”ha ragione s’amigu Mali Pigau…il mondo è di chi lo cammina!” Del gruppo facevano parte anche un tipo che vestiva con una maglia da calciatore di colore verde oro, la maglia della nazionale brasiliana, e un altro dall’aspetto severo e distinto che tutti chiamavano “su professori”. Ero stato attirato anche dal loro vociare concitato e dal fatto che proprio mentre il signor Efisio si apprestava a darmi la schedina uno dei cartari aveva detto “O Efisiu lassa perdi cussu muccosu e portaci la quattro mori ca sa basca est sicchendisì su gutturu! ” Sul momento c’ero rimasto male perché su muccosu, come aveva detto il cartaro, ero propri io; mi ero voltato verso il tavolino e con una smorfia da offeso, avevo guardato il tipo negli occhi; ora, a distanza di anni, ricordo ancora quell’episodio, evito le battute che possono ferire i bambini.
-Ita bolit nai ca su mundu est fattu po genti chi camminat? Ma bolis ponni sa bellesa de sa mia ottucentuscinquanta?…in dexi minutus seu a Casteddu…in d’un’ora e mesu seu a Capo Spartivento po castiai is tedescas a tittas in foras…
– Temo che le auto ci rovineranno…-disse il professore
– Nonnu miu –disse il signor Mali Pigau, s’est fuiu a pei de sa guerra de su cuindixidixiottu…fiat diventendi maccu cun tottu cussu fogu, cussu sanguini, cussus mortus, cussus generalis accallonaus…
– A pagu con is fueddus malus…la ca su pippiu est ascurtendi…esti su fillu de goppai Fortunato…
– Eia! Fortunato meda…non at mai bintu nudda a su totocalcio…giogat tanti po giogai…
-E sicchè nonnu tuu s’est fuiu de sa guerra…ma inzandus s’est fattu disertori…
-Issu, sciadau, fiat cunvintu de essi fattu sa cosa giusta…tottus disertoris nudda guerra…narada…
-Bravu! Chi tottus iant fattu aicci is austrungaricus fiant arribaus finzas a domu tua…
– Camminendi camminendi po torrai in Sardinnia tottus di narànta poveretto, fa bene a tornare a casa…e medas d’anti ospitau…d’anti accudiu comenti a unu fillu…issu naràda ca fiat in licenza po torrai a domu… poveri giovani…carne da macello…la guerra è una merda…narànta…
– A pagu ca ci funti pippius…
– Camminendi camminendi at connottu meda genti, at aggiudau feminas a traballai sa terra…ominis non ci ndi fiant…sceti calincunu imboscau…ei tu soldato perché non sei al fronte a difendere la patria? Non sarai mica un disertore?…d’ant’aggiudau cun dinai e cun crapittas…poita po camminai finzas a Civitavecchia ci boliant crapittas bonas e cussas de s’esercitu fiant scalladas.
– Il camminare è una forma di conoscenza – disse quello che tutti chiamavano il professore – pensate ai primi uomini nella notte dei tempi, ai nostri cugini delle scimmie antropomorfe…con la stazione eretta hanno cominciato a camminare, a conquistare lo spazio fisico, ad allargare gli orizzonti…
– Ita d’appu nau, o su driblador’e sa bidda, ca tui assimbillas a una mantinicca? Ses basciu, a cambas trottas e piludu…- il tipo che io allora chiamai subito signor Muccosu, e che sembrava il più spiritoso della cricca, si era rivolto a quello con la maglietta verde oro…
-Perou est una martinicca bistia de pappagallu…cun cussa magliedda colorada…
– Ascurta o brent’e poddini la ca is mellus giogadoris de palloni funti comunent’a mei…funti brevilinei e a culu basciu… dico bene o su professori?
– Questo è un dato di fatto…ma io volevo riprendere a ragionare sul cammino dell’uomo, anzi sul camminare dell’uomo…perché da lì siamo partiti…con quella frase sgrammaticata dell’amico spilungone…
-Birra al popolo! Efisiu scida su sonnu! -disse il signor Muccosu…sceti la quattro mori si podit aggiudai a sighiri is kistionis de su professori – e poi rivolgendosi a me…-O su pippiu la ca goppai Fortunato est aspettendi sa schedina…
– Pensate ai bambini quando muovono i primi passi…i loro primi tentativi, il loro goffo incedere con la mani in avanti, nel vuoto, cercando un abbraccio o un appiglio…il loro cadere e poi rialzarsi, o agli anziani che quando il passo è malfermo avvertono il declino…il non poter camminare è la cosa peggiore che possa capitare…
– O Efisiu allonghia su passu! La ca seus apettendi sa birriscedda…
– Ecco vedete persino in questa affermazione…allonghia su passu…c’è tutta una storia…
-Eia!… candu traballamu in bingia in is terras de Don Filippu, mi naranta…allonghia su passu ca non portas is cambas longas po de badas…disse il tipo spilungone…
-Gli uomini si sono da sempre spostati a piedi o a cavallo…da soli, in compagnia, in grandi gruppi, per lavorare, conquistare nuove terre, fuggire dalle malattie, dalle carestie…
– E su trenu, e s’apparecchiu innui du poneus?
– È vero…la macchina a vapore ha rivoluzionato la storia…applicata ai treni e alle navi…siamo ai tempi della rivoluzione industriale…tra la fine del ‘700 e la prima metà dell’800…
– Est una dì cussu contu! O su professori…de cantu depeus torrai agou?…O du fait apposta po si trobeddai su ciorbeddu?…
– Il tempo è uno strano personaggio…si dilata e si accorcia…quanti sono due secoli rispetto al tempo dell’universo e dell’uomo…
-Tenit arrexioni su professori…deu seu nasciu in tempus de guerra…inzandus su tempus pariat ca curriada…dopu sa guerra su tempus s’est firmau…poi at cumentzau a torrai a curri- disse il signor mali Pigau…
-Il tempo poi è lineare ma anche ciclico…ancora oggi numerosi gruppi umani si spostano ed emigrano…a piedi, per mare o con altri mezzi…e chi li può fermare?…
-Seu de accordiu deu puru…ma si nd’arregordais cantus de bidda funti emigraus po traballai a Torino, a Milano, in Francia, in Germania, in Belgio…po finzas in America…?
– Su poburu est tontu…si ndi andat de domu sua…camminat camminat e poi? Poburu fiat e poburu abarrat…bosatrus ndi connosceis de arricus chi funt emigraus?
– Su poburu non est tontu…lassat sa domu sua po abbisóngiu…po agattai traballu innui ci nd’esti…
– E s’arriccu nd’approfittada…eus traballau in is mineras de craboni e de ferru de Belgio de Germania e de Francia…e ita nd’eus tentu?
– Su poburu est pigau de su bremmi de stai mellus…e cussu bremmi du boccidi…
-Ma candu mai? Ma du bieis a Clementinu…candu in s’istadi torrat in bidda po vacanza, po portai a mari is pippius? Est tottu alliputziu con una zaccad’e mercedes e zaccad’e femmina tedesca…
– Gei est pagu bona sa mulleri de Clementinu…dico giusto o su professori?
– Dico che siete sguaiati e scurrili…non vedete che il bambino è ancora qui?
– O Efisiu porta la birra al popolo e boganci su pippiu…la ca goppai Fortunato si da pigat cun tui…
-Ragazzo prendi la schedina e torna a casa…- disse il signor Efisio…mi divenne subito simpatico perché era la prima volta che qualcuno mi chiamava ragazzo…
Così rientrai a casa. Mio padre vigilava sulla soglia di casa, nervoso e con l’eterna sigaretta in bocca. Gesticolando usava rimbrottare chiunque in auto sfrecciasse veloce…a pagu, diceva, non du bisi ca ci funti pippius…mia madre si preoccupava da quando un camionista possente e incazzoso, alto quasi il doppio di mio padre, si era fermato e aveva detto “o su ziu ita bendidi?”, ma quel giorno il rimbrotto fu tutto per me…e ita manera! Ma cantu ci bòlit a portai sa schedina?
Quelle schermaglie verbali, scherzose e sconclusionate, sono ancora vive nella mia memoria.
Ripensando a quelle teorie sentite nel bar mi accorgo, a distanza di anni, che allora avevano un senso.
Il camminare, per me e per i miei coetanei, era l’esplorazione di uno spazio vicino, ma, dilatandosi il tempo del gioco e delle scorribande nel territorio, era come se quei luoghi fossero lontani, quasi uno spazio infinito…come il sentiero che fiancheggiava il rio del Is Molentis, scorciatoia per arrivare e tornare da scuola. Il tempo lì era sospeso dalla paura del fantasma de Sa matt’e s’arenada. Sotto l’albero il calpestio a ricavare un giaciglio, e sui rami a volte una vecchia e logora camicia. Chi era quell’uomo? C’era sicuramente, ma non si faceva vedere. In quel tratto il passo si faceva più svelto…
Si andava a piedi oltre la ferrovia percorrendo il lungo viale degli eucaliptus e da lì verso lo stagno, in altri luoghi, ormai della memoria: sa batteria, residuo bellico ridotto a rudere circolare dove era collocata un una batteria antiaerea della seconda guerra mondiale, e più in là le nuotate in su sciundorau, tratto melmoso alla foce del rio Sestu, sabbie mobili di fango nero e appiccicoso…”la ca nd’est mortu prus de unu in su sciundorau” dicevano i genitori inascoltati.
Si faceva il bagno nello stagno, poetto dei masesi, si pescava con cannette rudimentali, si facevano caselle e chiuse di fango per intrappolare i muggini, si prendeva il sole sdraiati nelle salicornie, si frugava nel fango nero a prendere sa cocciula rigada o sa cocciula de cau, o ancora sa trimoligia e su trimoligioni…
Si andava a piedi a Su Bisconti, in cricca o in cambarada, famiglie intere la domenica a prandi,
ad ascoltare tutto il calcio minuto per minuto, fidanzati a sfranellai, bambini a fare sa mammacua o a giogai a sighi sighi o a cuddus fortis. E per pasquetta la pineta, Su bisconti, si riempiva di gente anche dei paesi vicini, Sestu, Monserrato, Assemini.
“Su mundu est fattu po genti chi camminat”, il mondo è di chi lo cammina. Quella frase sgrammaticata pronunciata anni fa da un gruppo di birraioli di paese riaffiora nella mia mente, oggi che interi popoli si spostano alla ricerca di un nuovo senso.
Cammina…cammina…c’è da chiederci dove arriveranno…e noi con loro.
Tonino Sitzia
Gennaio 2016