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“La vera Seconda Repubblica. L’ideologia e la macchina” di Nadia Urbinati e David Ragazzoni – Recensione di Tonino Sitzia

La riforma Renzi/Boschi si configura come la Vera Seconda Repubblica, non modifica la Costituzione nata dalla Resistenza, ne muta i tratti fondanti e genetici, scardinandone le fondamenta

In un conferenza stampa del 17 settembre 2015 Matteo Renzi dichiarava “A chi ci dice ‘ma state facendo troppo veloce’ rispondo che questa riforma è attesa da settant’anni”.
È come dire: le forze politiche che hanno dato vita alla Costituzione del ’48, già dall’origine, e prima di una sua fattuale realizzazione, la volevano liquidare come “Prima” repubblica a favore di una “Seconda”, sorta di araba fenice, messia taumaturgico dei mali e delle disfunzioni del sistema istituzionale italiano. Ora è arrivato qualcuno veloce e rispondente alle attese che la riforma la vuole fare davvero.
il libro di Nadia Urbinati e David Ragazzoni ci aiuta a capire che la retorica propagandista dell’oggi spaccia per nuovo quanto di più vecchio ci sia stato nella storia della Repubblica, cioè il lungo dibattere, nel corso dei decenni, con qualche tentativo legislativo, sulle “necessarie” Riforme Costituzionali, più stringenti man mano che ci si allontanava dagli anni dell’Antifascismo e dalla Costituente.
Tale retorica propagandista è diventata una vera e propria ideologia, utilizzata trasversalmente da tutte le forze politiche nel corso dei decenni di storia repubblicana, soprattutto in concomitanza con le fratture e i suoi momenti di crisi. Quali questi momenti di crisi? Certamente la fine della Guerra Fredda con la caduta del Muro di Berlino. Nel libro si cita una frase di Norberto Bobbio “dopo la crisi del 1989 la nostra democrazia zoppa che si reggeva soltanto su una gamba, la coalizione dei partiti non comunisti, cosiddetti democratici, avrebbe potuto camminare con tutte e due”. Ciò non avvenne, anche se occorre ricordare che già Moro, assassinato dalle BR nel 1978, aveva intuito l’importanza di sbloccare il sistema politico con l’apertura al PCI (le “convergenze parallele”) e lo stesso PCI avesse dato inizio alla stagione del “Compromesso Storico”. Subito dopo cominciarono gli anni del Craxismo.
Un altro momento di crisi, forse il più dirompente, fu quello del 1992-1994, gli anni delle inchieste della procura di Milano, ormai nota come operazione Mani Pulite, che portò al disfacimento della DC e del PSI, e porterà poi alla “discesa in campo” di Berlusconi e all’ascesa della Lega.
In questi momenti di profonde disfunzioni della Prima Repubblica, l’ideologia della Seconda Repubblica si fa più stringente, “L’immaginario del dover essere” (pag.29), si irrobustisce, e perfino nel linguaggio alcuni capisaldi della Costituzione assumono connotati in negativo: Parlamento/parlamentarismo, Partiti/partitocrazia, Governo/governabilità.
L’ideologia si fa alibi, e i partiti, lungi dal ripensare il proprio ruolo e rigenerarsi, così da “intervenire sull’evidenza dirompente delle infiltrazioni di interessi privati in seno alle istituzioni” (pag.34) pensano di correggere le regole costituzionali ed elettorali attraverso la “semplificazione del processo deliberativo e la riduzione numerica degli attori politici”.
Nel libro si citano le parole di Enrico Berlinguer nella famosa intervista/dialogo con Eugenio Scalfari del 28.07.1981 (meriterebbe una rilettura integrale, data la sua estrema attualità) “I partiti di oggi sono soprattutto macchina di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero”. Non tanto, dunque, disfunzioni del Parlamento o patologia della ingovernabilità, quanto una più profonda e complessa “questione morale” che, se affrontata, avrebbe rilanciato la partecipazione, la fiducia nella democrazia, e affrontato i veri nodi strutturali del paese, in primis quello del lavoro.

L’esigenza di un cambiamento delle regole che sposti i poteri sul fronte del Governo, del suo capo, e del suo partito attraverso processi di revisione costituzionale si materializzano nella XIV Legislatura (Governo Berlusconi), che conferma, attraverso il referendum del 7 ottobre 2001, la revisione del Titolo V della Costituzione (già avviata dal Governo D’Alema), e poi col tentativo di Riforma della parte II della Costituzione, approvata dal Parlamento nel 2004 e poi bocciata dal referendum del 25/26 giugno 2006 (voti contrari 61,3%, favorevoli 38,7%. La riforma prevedeva, tra l’altro, l’elezione diretta del Premier (anche se il suo nome non compariva nella scheda), il Senato federale, dunque la fine del Bicameralismo perfetto, un forte trasferimento di poteri alle regioni (devolution).
Col referendum del 2006 giungeva a compimento un lungo cammino di tentativi di riforma, che oltre ai convegni, dibattiti, prese di posizioni dei leader, mise in moto tre Commissioni parlamentari, ed è significativo “ogni qualvolta la proposta di riforma nasce e avanza per via parlamentare, essa si arena” (pag. 120). Il libro analizza le proposte di tre Commissioni bicamerali: la Commissione Bozzi (1983-1985), la Commissione De Mita Iotti (1992-1994), la Bicamerale D’Alema (1997-1999). Nella sostanza, e in sintesi, la prima (Bozzi) propose un bicameralismo differenziato, la seconda (De Mita Iotti) un cancellierato alla tedesca, la terza (D’Alema) una sorta di semipresidenzialismo alla francese.
La vera seconda repubblicaLa riforma Renzi/Boschi si configura come la Vera Seconda Repubblica, non modifica la Costituzione nata dalla Resistenza, ne muta i tratti fondanti e genetici, scardinandone le fondamenta, basata sul ruolo del Parlamento, delle rappresentanze proporzionali, della divisione dei poteri. Ipotizza un modello già in auge nei dibattiti degli anni ’50, quello gollista della Quinta Repubblica francese (1958) per affermare la supremazia dell’Esecutivo e la leadership del Premier sulla maggioranza parlamentare, e la stessa legge elettorale, il cosiddetto Italicum oggi oggetto di forti critiche la fortissima impronta maggioritaria, si muove in quella direzione.
Seppure il libro di Nadia Urbinati e David Ragazzoni si muove sul fronte del NO alla Riforma Renzi/Boschi, esso ha il pregio della pacatezza, della puntigliosa ricostruzione storica e documentaria delle vicende oggetto di studio. Per questo è un libro utile a tutti, anche a quelli orientati per SI, che potranno ricavare elementi ulteriori di riflessione e orientamento su una materia che riguarda tutti i cittadini.

Recensione a cura di Tonino Sitzia
Luglio 2016

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1 commento

  1. In un’intervista a Il Fatto quotidiano del 23 aprile scorso, Nadia Urbinati dichiara:” Questa carta non è una revisione,un intervento mirato su alcuni punti, bensì è una riforma radicale che muta la forma della nostra Repubblica… Nella riforma renziana i meccanismi di controllo saranno pesantemente espressione della maggioranza.”
    Piero Calamandrei nel ’47 scriveva ” Quando l’Assemblea costituente discuterà la nuova Costituzione, i banchi del governo dovranno essere vuoti…”. Qui sta avvenendo il contrario: una minoranza, con un “aut aut”, la vuole imporre a tutti.

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