Nel mio paese, alla fine degli anni ’50 del secolo scorso, ancora si respirava un’aria da dopoguerra. I racconti degli adulti, i manifesti che ammonivano delle bombe inesplose, la batteria antiaerea prospiciente lo Stagno di Santa Gilla a due passi dall’aeroporto, tutto ricordava quanto era accaduto tra il 1940 e il 1945, e in tanti raccontavano dei morti di Cagliari e di Gonnos del febbraio 1943.
La frenesia del boom economico non aveva ancora eroso del tutto gli orti che circondavano il paese, o erano all’interno di esso, quello spazio infinito delle scorribande dei bambini, s’ortu de ziu Ferdinandu, s’ortu de ziu Dessì , de ziu Giuanni, de ziu Picciau, dei Cossu e dei Marras. Ancora all’interno del paese c’erano terreni incolti ed era facile improvvisare un campetto di calcio con porte di canna o di pietra.
I campi erbosi erano nella nostra testa, le scarpe bullonate erano un sogno, e del resto a cosa servivano in quegli sterrati irregolari de perdigonis, stampus e cuccureddus de terra? Era facile sbucciarsi le ginocchia, ancora di più “sconcai su didu”, o farsi dei lividi in fronte quando si colpiva di testa e si andava ad impattare proprio in su bungiu dove c’era una particolare cucitura, come una ferita sulla pelle. Il pallone infatti era fatto di spicchi di cuoio, cuciti all’interno e all’esterno, con una fessura da cui sporgeva il beccuccio per gonfiare la camera d’aria e che veniva chiusa con grosso filo di cotone o di cuoio. Quando la camera d’aria si bucava bastava tirarla fuori , slegare sa corrìa, e portarla a riparare a che su sabattéri.
Dalle prime TV in bianco e nero si cominciavano a vedere le partite del campionato di serie A, e alla radio, nei pomeriggi domenicali, i fanatici del totocalcio ascoltavano “Tutto il calcio minuto per minuto”, con la copia della schedina in mano per segnare l’evolversi dell’1, X, 2 nell’arco dei novanta minuti, e per capire se la Fortuna si sarebbe voltata dalla loro parte con un bel 13 o con il 12. Ciò non accadeva quasi mai.
Nelle partitelle improvvisate ognuno aveva il suo campione a cui ispirarsi, già si capiva che qualcuno era più bravo di altri e col pallone ci sapeva fare, altri si arrangiavano e la passione per il gioco passava sopra ogni battuta del tipo “ma la ca ses bidoni!”, oppure “gei no ses nasciu po giogai a palloni!”. I più scarsi scambiavano il calcio con il rugby, o con is trumpas, e venivano catalogati come arrogadoris.
Tra questi ricordo con precisione su cavunu . Era su lomingiu che era stato affibbiato a un ragazzo come altri, per via del suo essere brevilineo, nieddu che sa pixi, con le gambe tozze e arcuate da cavallerizzo e dai piedi stranamente rientranti verso l’interno. Correva sempre di sghimbescio, e si spostava sempre lateralmente, come un granchio. Per questo, ad evitare che con le sue corse finisse fuori dal campo, veniva schierato obbligatoriamente sulla fascia sinistra, nonostante calciasse solo col piede destro. La conformazione dei piedi gli consentiva delle strane traiettorie, i suoi tiri in porta e i suoi passaggi erano sempre “ad effetto”, e solo i più bravi potevano stoppare il pallone da lui calciato. Gli altri, i più scarsi, si lamentavano “o su cavunu, ma la ca ses trottu!”, oppure “con tui su palloni parit una burdunfa”, “arraz’e passaggiu bellu!”, “tui a su palloni di naras aminculu!”. I portieri poi con i tiri de su cavunu rimediavano spesso delle figuracce: ti aspettavi il pallone da una parte e spesso andava dall’altra. In quel caso su cavunu si prendeva la sua rivincita, e si vantava “est tottu carculau!”, quando invece la stranezza della traiettoria era frutto di pura casualità.
Passati troppo in fretta gli anni, irripetibili, della fanciullezza e dell’adolescenza, molti di quei calciatori si ritrovavano in piazza nei tempi morti dello studio o del lavoro. Qualcuno giocava ancora a pallone in squadre dilettanti del paese o dei paesi vicini, qualche altro era sparito perché risucchiato dall’emigrazione, a Torino, a Milano o a Genova, oppure in Germania, in Olanda, in Belgio, a seguire amici o parenti che lo avevano fatto proprio nel tardo dopoguerra, quando la manodopera meridionale serviva ad alimentare lo sviluppo del nord Italia o del nord Europa. Erano anni di basettoni, di capelli e barbe lunghe, di pantaloni a zampa d’elefante, di musiche e canzoni di protesta, di pruriti erotici e di amori, di politica militante, di comunisti, di socialisti e democristiani, di movimenti di lotte continue, di rivoluzioni cubane e maoiste, di fascismi che sempre tornano in altre forme.
In quelle discussioni di piazza si parlava di progetti, di lavoro, di donne. La vita incombeva e le traiettorie esistenziali, come i tiri di su cavunu, sarebbero state le più diverse.
Tonino Sitzia
Glossario
Su Cavunu, il Granchio
Perdigonis, grosse pietre
Stampus, buche
cuccureddus: da cuccuru, letteralmente cúccaru, cúguru «sommità della testa, cranio, cocuzzolo, cima di collina o di monte”(Pittau, La lingua dei protosardi e quella dei Baschi). Nel racconto: piccolo avallamento del terreno, montagnole di terra
sconcai su didu: letteralmente decapitare; nel racconto sbucciarsi il dito del piede
bungiu, bernoccolo
sa corrìa, correggia
su sabattéri, calzolaio
ma la ca ses bidoni, sei proprio un bidone (modo di dire)
gei no ses nasciu po giogai a palloni, non sei nato per giocare a pallone (modo di dire)
giogai a is trumpas, lotta, sorta di combattimento corpo a corpo tra due persone
arrogadoris, da arrogai, rompere, spezzare, fare a pezzi;
nieddu che sa pixi, nero come la pece
o su cavunu, ma la ca ses trottu, sei proprio storto; nel racconto “impreciso nel passaggio”
con tui su palloni parit una burdunfa, “con te il pallone sembra una trottola”
arraz’e passaggiu bellu! “che bel passaggio!” (ironico)
tui a su palloni di naras aminculu (modo di dire), tu il pallone lo mandi a quel paese, hai scarsa confidenza col pallone
est tottu carculau, è tutto calcolato
Sapiamo che il sito di Equilibri ha un ambito di frequentazione ben al di là del nostro Elmas.
Di più: va oltre l’Isola nostra saltando il mare,
così approdando in ‘Continente’.
Allora sarebbe opportuno far seguire al bel racconto
di Tonino un glossarietto delle parole in limba
(sardo nella variante campidanese) con la traduzione in italiano.
Seguendo il suggerimento di Gabriele ho aggiunto al racconto un glossario delle parole e delle espressioni in lingua sarda. Si tratta, spesso, di modi di dire che hanno efficacia e pertinenza in situazioni di oralità, e in contesti particolari: in questo caso nel gioco del calcio.