Ho temporeggiato prima di andare a vedere “L’agnello” il film d’esordio di Mario Piredda, che sarebbe dovuto uscire nelle sale nel marzo di quest’anno, e poi rimandato per via della pandemia.
Prodotto da Articolture, Mat Productions con Rai Cinema, il supporto della Fondazione Sardegna Film Commission e della Società Umanitaria Cineteca Sarda, il film ha ripreso il suo cammino nel mese di luglio, proiettato in diverse piazze dell’isola e a Cagliari.
Mi son detto: il solito film sui sardi, sulle pecore, sul formaggio, sulle spiagge, sulla Sardegna ferma nel tempo, sulla nostra alterità, con quella sorta di etnocentrismo che ci accompagna, difesa e contraltare di eurocentrismo e globalizzazione, e che tutto riduce a stereotipo e semplifica fenomeni complessi.
Invece no. Il film, molto bello, sfugge a quelle trappole e presenta la Sardegna per quella che è: un mondo certo particolare, con i suoi tratti specifici, riconoscibili nel paesaggio, nel rapporto città campagna, nel lavoro del pastore, nel silenzio eloquente dei volti, che esprimono, più delle parole, sentimenti forti, rudi e autentici, eppure, ed è questo il merito del film, tutto ciò è inserito nel Contemporaneo, e dunque il moderno dialoga con l’antico.
La storia in breve : in un lembo di terra aspro e austero, come solo in Supramonte se ne vedono, ai bordi di un poligono militare recintato, e sui cui cieli sfrecciano gli aerei supersonici della Nato in esercitazioni militari, Jacopo, magistralmente interpretato da Luciano Curreli, porta avanti il lavoro di pastore che il padre Tonino, ruolo ricoperto perfettamente da Piero Marcialis, gli ha trasmesso.
La convivenza tra la servitù militare e la vita di chi in quel territorio si guadagna il pane, è problematica, suggellata dalla moria degli armenti e dalla malattia di
Jacopo, gravemente malato di leucemia, la stessa che gli ha portato via la moglie. Jacopo vive col padre e con Anita, la figlia diciassettenne con la quale ha un rapporto di ruvido amore e che farà di tutto per salvarlo, recuperando il rapporto del padre con suo fratello Gaetano, ottimamente interpretato da Michele Atzori, l’unico che, verificata la possibile compatibilità potrebbe salvarlo con la donazione del midollo osseo. Gaetano però vive in tutt’altra parte dell’isola, ha rotto ogni rapporto con la famiglia, frequenta squallidi bar e discoteche, e non vuole sentirne di sanare antiche e mai rimarginate ferite.
Attorno alla figura di Anita, interpretata dall’ esordiente giovanissima e bravissima Nora Stassi, ruota tutto il film. Anita è perfettamente inserita nella contemporaneità, con i suoi tatuaggi e i suoi piercing, le sue musiche che ascolta incessantemente dalle cuffie collegate al cellulare, la sua batteria su cui sfoga le rabbie di adolescente e alimenta i suoi sogni, col suo linguaggio diretto e gergale tipico della sua età. È lei che, dopo la morte di parto della pecora ad inizio del film, si prende cura dell’agnello, che cresce nel dipanarsi della storia e appare, come una simbolica presenza, nelle scene cruciali del film.
È lei, figlia, madre, sorella, amica, la speranza in un mondo difficile e ostile.
Tonino Sitzia
10 Settembre 2020