Si sale su per questo colle
impervio e aspro
di bianco calcare.
Il silenzio accompagna
il garrire dei gabbiani
e il gracchiante volteggio
delle modeste cornacchie.
Di questi giorni,
al principio dell’erta,
una di esse giaceva
come un cristo ad ali aperte,
il becco al cielo
che un tempo dominava,
e gli uomini ne scansavano
il sembiante
come un oscuro presagio
di voli e cadute.
Ai primi tepori
della stagione giovane
il colle esplode
di floreali livree
e di risvegli arborei.
Il viola si trasfigura
nelle timide globularie,
vestali sacerdotali
in cespugliosa fratellanza
rivolte al mare
come a ricercarne
il profumo salmastro.
Si sale e il passo affatica
tra il vestito carioca
delle euforbie,
gli austeri ginepri,
il bianco fiore
del rustico asfodelo,
resistente compagno
di povere lande.
Si sale, si cicaleggia del mondo,
di affetti vicini e lontani
nello spazio e nel tempo,
i più esperti giocano con la memoria
a classificare le specie
che mutano alle stagioni
e ogni volta è come fosse la prima.
Poi, su in cima,
come grande epifania
azzurra e immensa
si apre l’orizzonte,
I pensieri divagano
al respiro del vento,
evocando presenze
di un tempo non lontano,
come fosse oggi.
Qui tra le antiche pietre
un tempo Astarte,
la dea marinara,
osservava i naviganti,
e li proteggeva
dalle ire dei marosi.
E come allora anche noi
osserviamo il riverbero
caleidoscopico del mare,
e quella nave lontana
quasi ferma e minuscola
nell’immenso,
che va non so dove,
come noi, verso quale destino.
Affanno dell’uomo
e leggerezza del gabbiano
tra falesie e dirupi…
Bella e intensa poesia che ci invita a riflettere sulla condizione umana.
L’autore, passeggiando per “l’impervio colle”, ammira l’esplosione di colori e profumi della “stagione giovane”. E’ il risveglio della Natura che si scrolla di dosso il pesante fardello invernale. Mentre il pensiero ritorna con nostalgia agli “affetti vicini e lontani” , improvvisamente appare il mare. L’immagine di ” una nave lontana quasi ferma e minuscola nell’immenso”, spinge il poeta ad una profonda riflessione. Anche noi, come quella nave, proseguiamo il nostro viaggio con i nostri affanni senza poter conoscere il nostro destino, mentre desidereremmo librarci in volo con “la leggerezza del gabbiano tra falesie e dirupi”.