18 Dicembre 2024
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Il desiderio di essere come tutti di Francesco Piccolo

L’11 giugno 1984 moriva Enrico Berlinguer, colpito da emorragia cerebrale durante un comizio a Padova. A trent’anni dalla morte si moltiplicano le testimonianze giornalistiche, i libri, le ricostruzioni cinematografiche, le tante vie dedicate, le lapidi, i riconoscimenti a posteriori, gli amarcord all’insegna del “quando c’era Berlinguer….”. Tutto giusto, tutto necessario e dovuto, ma è schizofrenica e ipocrita la tendenza, tipicamente italica, del celebrare grandi uomini del passato recente o remoto, per dimenticarne la lezione. Possiamo definirla “uso consolatorio della memoria?”

Per semplificare si potrebbe dire “ammazziamo i padri”, “poi li celebriamo”. Un esempio per tutti: gli “eroi” Falcone e Borsellino, continuamente celebrati da uno Stato che ha mostrato tratti di connivenza con la mafia in uomini e apparati, Stato che li ha lasciati soli e ne ha reso possibile la morte, e che ancora oggi non riesce a fare i conti con la corruzione e il malaffare presenti anche all’interno della politica e delle istituzioni.

Francesco Piccolo è scrittore e sceneggiatore. Ha lavorato con diversi registi italiani, contribuendo, tra l’altro, alle sceneggiature de “Il Caimano” e “Habemus Papam” di Nanni Moretti. Il suo è un libro bello e sincero. Attraverso l’autobiografia personale, ovviamente romanzata, ricostruisce quella di un’intera generazione che ha vissuto la propria giovinezza negli anni ’70, con tutte le contraddizioni e le ferite di un periodo della storia d’Italia estremamente travagliato, che ha avuto soprattutto Enrico Berlinguer come protagonista e di cui si seguono le scelte fino alla morte. La prima parte del libro è infatti significativamente intitolata “La vita pura: io e Berlinguer”. La seconda parte “La vita impura: io e Berlusconi”, in cui Piccolo parla del suo rapporto col “Caimano”. Il merito di Piccolo è quello di aver evitato un doppio parricidio salvifico e consolatorio, perché tutti i parricidi sanno di sofferenza, anche quando sono narrati con ironia e leggerezza.

Il primo di questi si consuma il 22 giugno 1974, quando al settantottesimo minuto lo sconosciuto centravanti della Germania dell’Est Jürgen Sparwasser batte il grande Sepp Maier, il portierone della Germania dell’Ovest, che annoverava tra le sue fila fior di fuoriclasse quali Beckenbauer, Gerd Muller, Breitner. Overath ecc…È una delle partite simboliche dei mondiali di calcio 1974. Quel giorno, all’età di dieci anni, dice Piccolo “sono diventato comunista….quando le squadre entrarono in campo doveva essere tutto chiaro. Da una parte c’erano quelli come noi, dall’altra c’erano quelli diversi da noi.

Per mio padre non c’era dubbio per chi fare il tifo…”. È una scelta di campo sentimentale e ideologica, se per ideologia si intende stare dalla parte dei Davide contro i Golia, degli Ettore contro Achille, dei poveri e sconosciuti tedeschi dell’Est, contro i famosi e strapagati tedeschi dell’Ovest.
Il padre, simpatizzante dell’MSI-Destra Nazionale, non capisce come mai il figlio gioisca della vittoria clamorosa della DDR e da quel momento le loro strade si divideranno per circa vent’anni: il padre prigioniero di una battuta che nasconde tutto un mondo “Tu che fai tanto il comunista, spiegami che significa. Vai da Berlinguer, dici che sei comunista e chiedi se ti paga il bollo della macchina”.

Il figlio, da simpatizzante comunista, percorre la sua strada, vive le vicende che si susseguono in quei vent’anni: il golpe cileno e la morte di Salvador Allende, i tre articoli di Berlinguer su Rinascita a spiegare la scelta del Compromesso Storico, il rapimento e la morte di Moro, il Terrorismo, la scelta dell’Alternativa democratica, l’intervista a Scalfari e la questione morale (28 luglio 1981), il rapporto del PCI con Craxi e i socialisti, i fischi all’amato Berlinguer nel congresso socialista di Verona l’11 maggio 1984, la morte del leader comunista il mese dopo, le parole di Sandro Pertini “Se n’è andato l’ultimo grande della sinistra italiana. Senza di lui questo paese riscoprirà i suoi vizi e le sue debolezze e non sarà certo la sinistra a fare da argine al fiume limaccioso che esonderà”. E ancora l’ascesa di Berlusconi, la cesura di Bertinotti e la caduta di Prodi, gli errori di D’Alema.
Si può uccidere chi si ama? Non senza sofferenza.

Il secondo parricidio è la messa in discussione di Berlinguer. Piccolo, uomo di sinistra, e al fondo ancora berlingueriano, dubita che tutta un serie di scelte, a cui lui stesso ha creduto, siano state sbagliate e perdenti. La presunta purezza dei comunisti, per esempio, la loro “diversità”, sancita dalla linea dell’alternativa democratica, non fu un modo per isolarsi, per non incidere nella realtà, e dunque non finì per essere una posizione reazionaria? Non sarebbe stato meglio continuate col compromesso storico? Forse Craxi era più “moderno” e aveva ragione quando con un decreto avviò il processo di abolizione della scala mobile? E anche la Questione morale non è ormai roba per minoranze, che non incidono più in un mondo irrimediabilmente corrotto, e chi la brandisce semplicemente non comunica più con gli altri, la maggioranza, che in fondo sono uomini come noi, e con i quali bisogna tenere aperto un filo di dialogo.

Nel racconto due donne segnano la sua giovinezza e poi la maturità. L’una militante comunista dura e pura, che rifiuta la sua “superficialità” piccolo borghese. Elena, di cui il protagonista è vanamente innamorato fin dal primo anno del liceo, è la copia esatta di Katie Molosky, la protagonista di “Come eravamo” di Sidney Pollack. Anche lei è una che “non molla mai”. Ma, ci si chiede: è giusto sacrificare sentimenti, affetti, amori, cadute piccolo borghesi, per un ideale?

L’altra donna è quella che poi diventerà sua moglie, quella che nel libro viene chiamata Chesaramai. Il Chesaramai, una sorta di relativismo dell’accettarsi come si è, con i propri limiti, con le proprie debolezze, e, perché no, con la propria superficialità. Chesaramai Berlusconi? Lo accettiamo come un prodotto, o come una componente congenita della nostra italianità? Ha da passà ‘a nuttata, per dirla con Eduardo de Filippo in Napoli Milionaria? Dove ci ha portato e dove ci porterà questo desiderio di essere come tutti? In fondo l’Alternativa democratica a cui pensava Berlinguer, e non l’alternativa di sinistra, era un tentativo di non smarrirsi nell’omologazione, contemporaneamente conservare la propria storia verso il socialismo della terza via, ma anche un aprirsi agli altri per un mondo migliore.

In noi, come in Berlinguer, forse c’era l’ansia che solo la letteratura può tradurre in parole, come
quelle bellissime di Natalia Ginsburg che Piccolo cita nell’esergo dl libro: “Ora noi possiamo sentirci, in mezzo alle comunità, soli e diversi, ma il desiderio di rassomigliare ai nostri simili e il desiderio di condividere il più possibile il destino comune è qualcosa che dobbiamo custodire nel corso della nostra esistenza e che se si spegne è male.
Di diversità e solitudine e di desiderio di essere come tutti è fatta la nostra infelicità e tuttavia sentiamo che tale infelicità forma la sostanza migliore della nostra persona ed è qualcosa che non dovremmo perdere mai”.

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