Erano due cani lucidi di pelo, agili e lesti, Rochi e Dochi. Rochi di color fulvo, quasi ramato; Dochi maculato, bianco e nero: vissuti in un tempo ormai lontano, nelle terre ondulate di Marmilla.
Anime aeroterricole, correvano leggeri e giocosi nelle balze ventose. Cacciatori formidabili, sempre insieme, affiatati in traccia e predatori indipendenti: mai furono complici e appresso a qualcuno di quei bipedi ridicoli e panciuti, più che venatori della domenica, sgraziati e chiassosi calpestatori delle colline.
Non erano comunque dei randagi, ma muovevano da un casolare isolato il cui padrone lasciava loro spazio e libertà. Sorprendevano lepri, conigli, qualche pernice ed altra selvaggina.
Rimasero, era forse destino, stregati dal richiamo degli agnelli: certe notti senza luna, Rochi e Dochi, ombre silenti, prendevano il passo dei sentieri che portavano alle greggi. Tornavano all’alba con nei musi ancora i segni del loro misfatto.
Un giorno, con il sole già alto, caddero straziati da piombo rovente. Più d’uno volle vendicare il tradimento di due bastardi già così mal tollerati per la loro stravagante indipendenza. Li avevano attesi al passo uomini rustici ed essenziali…
Il padrone del casolare si dispiacque molto, ma non disse nulla: solo un cenno del capo, come a dire ‘era inevitabile,’ e poche parole soffiate tra i denti, su quelle scorrerie notturne delle quali, dopo un vago sospetto, non ebbe più dubbi.