Alcune note e considerazioni sull’incontro organizzato da “Equilibri”, venerdì 25 ottobre, per la presentazione del famoso libro di George Orwell “1984”, tradotto in sardo gavoese da Gonariu Franciscu Sedda.
Inevitabilmente nella discussione che si è intrecciata, interessante e ricca di spunti, si è imposto il problema, o, meglio, la questione della lingua in Sardegna e di questo prevalentemente si è dibattuto.
Segnalo una contraddizione tra l’affermare una volontà tesa a “salvare” (o “preservare”? O “recuperare”? Termini indifferentemente usati) la lingua sarda e il constatare che non c’è una lingua sarda, una sola lingua parlata da tutti i sardi. Dunque si tratterebbe forse di avviare un processo di unificazione delle varie “parlate”, che potremo anche chiamarle lingue. Soprattutto del campidanese e del logudorese. Si tratta di questo?
È fallito il tentativo per una lingua comune, ed altri. Ce lo dice anche Gonariu Sedda, che avanza la vaga proposta dell’incontro di studiosi, linguisti, intellettuali (spero non diventino delle conventicole) da impegnare in una azione comune per la lingua sarda. Una lingua valida per tutti, con una grammatica ben codificata, per poterla non solo parlare, ma soprattutto scrivere. In concreto chi sono questi “gruppi”, come sono organizzati, quando e dove dovrebbero incontrarsi, confrontarsi per gettare le basi d’un lavoro di lunga lena? Ora, si sa quanto siano litigiosi attorno alla lingua sarda, questi intellettuali tetragoni nelle loro idee.
Prima nota. Nei convegni che trattano le questioni specifiche della Sardegna si parla italiano; nei convegni sulla lingua sarda, si parla prevalentemente in italiano. Figurarsi se poi si troverà un documento, un saggio scritto in sardo! C’è una dominanza dell’italiano padrone del nostro pensare, del nostro argomentare. E non è un caso, non è un capriccio del destino. Se una lingua non viene parlata tutti i giorni “naturalmente” in ogni luogo del nostro “quotidiano” (al lavoro, a scuola, in famiglia, al bar con gli amici, in qualsivoglia situazione e occasione) questa lingua via via si affievolisce, vien meno, diventa “residuo”, malata grave senza speranza. Quali opere di grande valore letterario oggi si scrivono in sardo? Non vedo granché in giro.
Seconda nota. C’è un rapporto stretto tra società, lingua che si parla e pensiero. Le idee non nascono nel chiuso dei nostri cervelli, ma si formano nelle relazioni che intercorrono con gli altri singoli individui e con una realtà economico-produttiva in continua trasformazione. Dunque è dal complesso dei rapporti sociali, nel quale siamo immersi, che si formano le idee, il nostro pensare. Da qui il rapporto stretto tra lingua che parliamo e pensiero.
Pare, secondo certi studi, che non siamo parlanti perché pensiamo, ma invece pensiamo perché capaci di parola. Il nostro cervello avrebbe una specifica funzione e facoltà linguistica : così ci siamo evoluti. Dunque lingua e realtà sociale sono correlate e in perenne mutamento.
Terza nota. Se una lingua è viva e parlata, si evolve, si adatta, si trasforma. (Ma può anche venir meno, morire. Si pensi al latino che pure è stata la lingua del grande e potente Impero Romano). Parlare di un processo di evoluzione del sardo, come dice Sedda, per una lingua non ancora unificata e sempre meno parlata (soprattutto dai giovani) penso non abbia molto senso.