18 Dicembre 2024
No menu items!
HomePrimo PianoMonolinguismo, Bilinguismo, plurilinguismo (Ragionamenti ai margini dell’Incontro con Franciscu Gonàriu Sedda...

Monolinguismo, Bilinguismo, plurilinguismo (Ragionamenti ai margini dell’Incontro con Franciscu Gonàriu Sedda promosso da Equilibri)

George Orwell comincia a scivere il suo 1984 nel 1948, per poi pubblicarlo nel 1949,  utilizzando il rovesciamento degli ultimi due numeri per il titolo. La sua visione del futuro è estremamente pessimistica: se l’uomo ha sperimentato il fascismo, il nazismo, l’olocausto, la catastrofe atomica, lo stalinismo, è possibile fare la “profezia” di un domani, 1984 appunto, in cui ci saranno regimi totalitari, autocrazie, tecnologia che domina le coscienze, alienazione, strapotere dei media e della tecnica, il potere nelle mani di pochi che dominano sui molti, guerre e sopraffazioni. E oggi i temi suggeriti ed evocati dal romanzo sono tutti presenti. Nel romanzo di Orwell, distopico e fantasceintifico, l’omologazione delle coscienze al pensiero unico passa  anche attraverso la neolingua, che si configura come una lingua artificiale,  imposta ai sudditi del Grande Fratello, e che si esercita e organizza in opposizione alla vecchia archeolingua: si impone dunque un monolinguismo che impoverisce il linguaggio, ne mortifica la infinita varietà, che è il riflesso della varietà del mondo nei vari contesti geografici, storici, ambientali e antropologici.

Nel mondo si parlano circa 7000 lingue, ma se si considerano l’inglese, il cinese mandarino,l’hindi-urdu, l’arabo lo spagnolo, esse da sole coprono circa la metà della popolazione mondiale, e l’80%, tra cui l’italiano, il francese, il tedesco e altre, parla una delle 83 lingue dominanti. Il restante 20% sono le 6900 lingue minori, la maggor parte delle quali a grave rischio di estinzione. Tra queste c’è il sardo.

Le economie più forti impongono la loro supremazia anche nella cultura e il Grande Fratello prende forma e si materializza nella tecnologia, nella TV, nei social, nei telefoni cellulari, ed è nella natura dei processi storici che cia sia un affermarsi di determinate lingue e la morte di altre. È un bene? È un male? È nella natura delle cose? Si può fare qualcosa per evitare questo processo che appare inesorabile?

Uno degli strumenti, o “azioni di sopravvivenza” del sardo, come di qualunque lingua minoritaria a rischio di estinzione è la traduzione dei classici, siano essi antichi o moderni o contemporanei. Fermo restando che ogni traduzione è in qualche modo un tradimento dell’originale, è questo un modo per dare dignità letteraria ad una lingua, assegnarle dunque quel prestigio che la fa uscire dall’ambito folclorico e localistico dialettale. Dovrebbe dunque ritenersi “normale” che un capolavoro della letteratura mondiale possa essere tradotto in sardo, lingua come tutte le altre, contribuendo a superare lo stigma del dio minore o della minorità.

Per questo la traduzione in sardo del capolavoro di Orwell da parte di Gonàriu Francuscu Sedda, che Equilibri ha presentato il 25 ottobre scorso, è stato un fatto positivo, come positivo è lo sforzo di quanti si cimentano in operazioni culturali complesse, come quella fatta da Peppino Floris, che era presente all’incontro e che ha tradotto l’Inferno di Dante. Prendiamo le prime righe di 1984 di Orwell in lingua inglese originale:

‘It’s a beautiful thing, the destruction of words. Of course the great wastage is in the verbs and adjectives, but there are hundreds of nouns that can be got rid of as well”

Italiano: “Ah, è davvero una gran bella cosa, la distruzione delle parole. Naturalmente il grosso delle stragi è nei verbi e negli aggettivi, ma ci sono anche centinaia di sostantivi di cui si può fare benissimo piazza pulita”.

Sardo di Sedda: “A destruire sas paràgulas est cosa bella. Est craru chi su degollu mannu toccat sos verbos e sos agettivos, ma bi sunt finas unu muntone mannu nùmens chi si ghe podent mòere a un’ala”.

Già discutere di come si è tradotto, riflettere e  ragionare sulle parole, sul lessico e la sintassi, sulle varianti, è un modo per valorizzare una lingua minoritaria, metterla “alla pari” di un’altra maggioritaria. Certo non è il solo, e non è sufficiente alla sopravvivenza. Tra le altre “azioni di sopravvivenza”, la più importante, è quella del bilinguismo reale: affermare cioè che l’italiano e il sardo sono due lingue strutturalmente diverse, sebbene entrambe neolatine, ed ragionare sul fenomeno sociolinguistico della diglossia, cioè della interferenza tra sardo e italiano, di cui spesso ne sono inconsapevoli anche persone colte. Viene così a cadere quel luogo comune che afferma come  i sardi siano quelli che parlano meglio l’italiano. “La coesistenza del sardo e dell’italiano ha portato ad un alto grado di commistione (interferenza reciproca) delle due lingue. È noto da tempo che l’italiano che si parla in Sardegna (il cosiddetto Italiano regionale di Sardegna: IRS) è pesantemente influenzato dalle strutture grammaticali del sardo (Loi Corvetto 1983). Più generalmente si riconosce oggi l’esistenza di tutta una serie di strutture linguistiche intermedie che vanno dall’italiano regionale ai dialetti italianizzati” (Erdas 1988, Bolognesi 1998). Questa caduta nel gergo, una sorta di miscuglio tra italiano e sardo, impoverisce il linguaggio e ne abbassa le competenze sia in Sardo che in Italiano. Lavorare sulle competenze linguistiche è compito proprio della scuola, che potrebbe mettere a confronto comparativo le due lingue: potremmo chiamarla Educazione linguistica al bilinguismo.

Se pensiamo a Grazia Deledda possiamo affermare che lei era perfettamente bilingue, usava egregiamente i due registri ma per rappresentare il contesto (la Sardegna), il suo mondo, il suo universo simbolico, ad un pubblico di lettori non sardi, scriveva in italiano usando a piene mani la costruzione e le strutture formali tipiche dell’oralità nuoresa. La sua lingua non era sgrammatica, come si è detto da parte anche di illustri critici, ma imbevuta di quel mondo in cui era nata e in parte vissuta. La Deledda pensava in sardo e sciveva in italiano.

Data per fallita l’idea della standardizzazione del sardo, soprattutto data la persistenza storicamente determinata delle varianti, per cui fior di esperti riuniti in commissioni regionali, hanno dapprima teorizzano la LSU (limba sarda unificada, lingua sarda unificata, poi la LSC o limba sarda comuna (Lingua sarda comune), si potrebbe arrivare ad una Grammatica comune del sardo, ad alcune regole di scrittura condivise. L’uso nel parlato è sempre più raro, mentre è positivo il fatto che gruppi giovanili usino il sardo in canzoni, nel rap, nei social, a volte nelle chat. Esercizi di sopravvivenza, certo, ma coscienti del fatto che, gli stessi giovani, per lavoro e per necessità devono conoscere la lingua inglese (o di altra lingua dominante), e  cimentarsi sempre più col Plurilinguismo.

 

 

 

Articoli correlati

1 commento

  1. Limba sarda
    L’articolo di Tonino manda un segnale certamente positivo verso la ricerca di iniziative che consentano il mantenimento della Limba sarda. Stiamo osservando, frequentando le scuole di molti paesi della Sardegna, che oggigiorno molti ragazzi dialogano tra loro in sardo anche a scuola, contrariamente a quanto avveniva negli anni’60, quando questo a scuola era ‘vietato’. Per chi da bambino si è visto negato il diritto di parlare in sardo, pur sentendolo palare dovunque, è una cosa importante.
    Se le iniziative ci sono, i ragazzi partecipano.
    In questo ambito, è stato oggi riportato sull’Unione Sarda che l’Unione dei comuni del Guilcier ha promosso il Concorso Guilcieri in Limba sarda Premiu de Poesia “In sarda Rima” 2024. I ragazzi della classe III B della scuola secondaria di Ghilarza, dopo aver partecipato al laboratorio della professoressa Valeria Manca, hanno vinto il primo premio.

Rispondi

Please enter your comment!
Scrivi il tuo nome e cognome

TAG

I più letti